Cos’è questa storia che il taglio del cuneo che fa pagare più tasse e che effetto ha sugli stipendi

Il taglio del cuneo fiscale e l'Irpef a tre aliquote portano buste paga più alte a diversi lavoratori dipendenti, è vero. Ma nel tempo potrebbero diventare "meno efficaci" nel sostegno ai redditi bassi, perché rendono l'Irpef più "sensibile" all'inflazione. Ovvero, se gli stipendi aumentano anche di poco, magari solo per restare al passo con l'incremento dei prezzi, i lavoratori si troveranno a dover pagare una percentuale più alta di tasse. A segnalarlo, dando anche delle cifre sull'effetto concreto di questa misura, è l'Ufficio parlamentare di bilancio nel suo nuovo rapporto sulla politica di bilancio, presentato oggi dalla presidente dell'Upb Lilia Cavallari.
Il governo Meloni, nell'ultima legge di bilancio, ha reso strutturali sia l'Irpef a tre aliquote sia il taglio del cuneo, che è diventato un bonus in busta paga per chi ha un reddito fino a 20mila euro e una detrazione fiscale per chi guadagna tra i 20mila e i 40mila euro. Queste due misure danno "maggiore stabilità al sistema" e hanno "effetti positivi" sulle casse dello Stato. Ma, in compenso, possono svantaggiare alcuni dei loro beneficiari.
Cos'è il fiscal drag e perché se ne parla
Il problema fondamentale è che con queste due misure aumenta il cosiddetto "drenaggio fiscale", o fiscal drag. Può sembrare un concetto complicato, ma nella sostanza è piuttosto semplice. Si basa sul fatto che l'Irpef è divisa a scaglioni: più è alto il reddito, maggiore è la percentuale che bisogna pagare. Questo significa che, se il reddito aumenta in linea con l'inflazione (ad esempio, i prezzi salgono del 2% e quindi gli stipendi aumentano del 2%), il potere d'acquisto del lavoratore non cambia, ma viene comunque spinto verso uno scaglione più alto. Così, l'Irpef che deve pagare aumenta anche se non ha avuto nessun reale beneficio economico.
Negli ultimi anni è successo il contrario: l'inflazione è aumentata moltissimo e gli stipendi spesso non hanno tenuto il passo. Anche in questo caso si verifica di fatto la stessa cosa. Il potere d'acquisto scende, ma il lavoratore continua a restare negli stessi scaglioni Irpef. Quindi, anche se è stato danneggiato dall'aumento dei prezzi, deve pagare la stessa quantità di tasse di prima.
Che differenza fanno le misure sul taglio del cuneo e l'Irpef a tre scaglioni
Il meccanismo del "drenaggio fiscale" non è nuovo, e non l'ha certo introdotto il governo Meloni. Con il sistema attuale, però, è più accentuato. L'Upb aveva già segnalato questa situazione lo scorso novembre, quando aveva commentato gli effetti delle nuove aliquote Irpef. Oggi lo ha dimostrato riportando dei numeri concreti.
Con il sistema Irpef che era in vigore 2022, se l'inflazione fosse aumentata del 2%, lo Stato avrebbe incassato 2,9 miliardi di euro di tasse in più. Nel 2025, questo stesso aumento porterebbe a incassare 3,3 miliardi di euro. Per la precisione, l'aumento è di 370 milioni di euro. Soldi in più, rispetto a tre anni fa, che i contribuenti devono versare se il loro reddito (ma non il loro potere d'acquisto) aumenta.
Chi è più colpito dall'aumento dell'Irpef con il nuovo taglio del cuneo
La categoria nettamente più colpita è proprio quella che beneficia del taglio del cuneo, e in particolare della detrazione fiscale: i lavoratori dipendenti. Per tutti gli altri, ovvero "pensionati, autonomi, percettori di redditi da fabbricati e di altri redditi", il fiscal drag è "sostanzialmente invariato". Questo perché l'effetto viene generato proprio dalle nuove detrazioni introdotte dal governo per i dipendenti.
Anche all'interno della categoria dei dipendenti, poi, c'è una distinzione. Sempre pensando all'ipotesi che l'inflazione aumenti del 2%: un operaio nel 2022 avrebbe dovuto pagare il 3,2% in più di Irpef, mentre oggi dovrebbe versare il 5,5% in più; un impiegato, invece, passerebbe da un aumento dell'1,7% a uno del 2,3%. Mettendola in numeri concreti, di spesa per ciascuno: se l'inflazione sale del 2%, prima un operaio in media doveva pagare 67 euro di tasse in più, mentre ora sono diventati 79 euro; un impiegato doveva pagare 116 euro in media, mentre ora sono 141 euro.
Perché così l'aiuto ai redditi bassi diventa "meno efficace"
Il rischio è che, visto che già gli stipendi aumentano più lentamente dei prezzi in questi anni, un fiscal drag più aggressivo "rischia di erodere in misura considerevole gli incrementi nominali delle retribuzioni, con potenziali ricadute negative sui consumi e sulla domanda interna". Ovvero, se le buste paga non crescono molto, e in più bisogna versare una percentuale di tasse più alta, restano meno soldi da spendere.
"A lungo andare", secondo l'Up, se non si interviene "l’effetto combinato dell’inflazione e della maggiore progressività dell’imposta" tende a "erodere i benefici che si intendevano apportare con le misure di sostegno al reddito". E di sostegno al reddito c'è bisogno, considerando che con l'aumento dell'occupazione negli ultimi anni c'è stata anche una "marcata riduzione dei salari reali". Non solo a causa dell'inflazione: molte delle persone che hanno iniziato a lavorare in impieghi con stipendi bassi, soprattutto le donne, i giovani e chi aveva un grado di istruzione elevato. E, specialmente nel turismo, c'è stato un "marcato uso di contratti a tempo determinato". Insomma, è sempre più necessario che le misure per sostenere chi ha un reddito basso funzionino.