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Come la pandemia ci ha dimostrato che abbiamo bisogno dei lavoratori migranti

I lavoratori essenziali hanno assicurato la continuità di quei settori senza i quali il Paese non sarebbe potuto andare avanti durante il lockdown. Un report del Centro comune di ricerca della Commissione europea sottolinea come in queste categorie ci sia un’elevata percentuale di migranti e spinge i Paesi Ue a rivedere le loro politiche in tema di accoglienza, tenendo conto di quanto venga normalmente trascurato il contributo che queste persone apportano ogni giorno al tessuto socio-economico europeo.
A cura di Annalisa Girardi
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Anche se il termine di per sé lo presuppone, l'emergenza coronavirus ha evidenziato quanto sia preziosa l'attività dei lavoratori essenziali, senza la quale il Paese rimarrebbe di fatto bloccato. Dal personale sanitario, agli agricoltori o agli addetti che lavorano nei supermercati, moltissime persone hanno garantito la continuità dei comparti economici e sociali basilari durante i mesi di lockdown, anche esponendosi al rischio di contrarre il virus. Il valore che questi lavoratori essenziali apportano ogni giorno allo Stato è diventato inestimabile durante la pandemia. Per questo è importante evidenziare l'altissima componente straniera in questi settori, mettendo in luce il contributo dei lavoratori immigrati al tessuto socio-economico del Paese. Un insegnamento che potrebbe cambiare la percezione dell'opinione pubblica in materia di politiche migratorie nel futuro.

Il tema è al centro dell'attenzione mediatica italiana in questo momento. La proposta della ministra dell'Agricoltura, Teresa Bellanova, di regolarizzare i migranti senza permesso di soggiorno che lavorano nei campi o come colf e badanti ha sottolineato la rilevanza della manodopera straniera in alcuni settori, come quello primario e quello di cura della persona. Un report pubblicato dal Centro Comune di Ricerca della Commissione europea dimostra come, tuttavia, il contributo generale dei lavoratori immigrati si sia dimostrato fondamentale nella risposta alla pandemia: un elemento che, secondo il dossier, dovrebbe spingere gli Stati membri a rivedere le loro politiche in tema di immigrazione e accoglienza. E a tenere conto di come tutti i lavoratori che vengono al di fuori dei confini Ue possano essere importanti per il quadro socio-economico del Paese interessato, non solo quelli altamente qualificati.

I lavoratori essenziali nell'Ue

Tra i Paesi dell'Unione europea, in media, il 31% degli occupati totali è composto da lavoratori essenziali. La percentuale, tuttavia, è varia a seconda dello Stato membro: ad esempio, è circa al 40% in Francia e Danimarca, ma crolla appena sopra il 10% in Bulgaria o in Slovenia. Tra questi lavoratori essenziali, il 13% è costituito da immigrati. Anche in questo caso il dato è diverso da Paese a Paese: in Romania, e in generale nell'Est Europa, la percentuale di immigrati tra i lavoratori essenziali è poco sopra lo zero, mentre in Lussemburgo questa arriva al 53%. In Italia si è di poco al di sotto del 20%.

Il dossier segnala inoltre come la presenza di lavoratori stranieri nei settori essenziali sia più alta rispetto alla percentuale di migranti sul totale della popolazione occupata, indipendentemente dal tipo di impiego. Il caso più lampante è rappresentato da Cipro, dove gli immigrati rappresentano il 13% dei lavoratori totali, ma allo stesso tempo sono quasi il 20% dei lavoratori essenziali. Una tendenza di questo tipo si registra anche in Italia, e generalmente nei Paesi che rappresentano una comune destinazione per i migranti, come Svezia e Germania.

I migranti  le qualificazioni

Per quanto riguarda le categorie di lavori essenziali, gli occupati europei sono più o meno equamente distribuiti, mentre per quelli immigrati si nota una più alta percentuale nei settori a bassa qualificazione. Ma questi ricoprono comunque dei ruoli vitali al funzionamento delle economie europee. Alcune categorie dipendono in gran parte da questi lavoratori: ad esempio, si legge nel report, un terzo dei lavoratori impiegati nel settore delle pulizie, dei servizi di cura della persona (come colf e badanti) e in quello delle costruzioni, non sono nati nell'Unione europea. "La forza lavoro migrante costituisce una parte integrante del mantenimento delle funzioni basilari e fondamentali nelle società europee nel periodo di chiusura forzata", conclude il report, evidenziando come anche i lavoratori poco qualificati ricoprano delle posizioni "di vitale importanza nella lotta contro il coronavirus". Un fattore che sottolinea come il "loro valore venga spesso trascurato in Europa".

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