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Cinquant’anni dello Statuto dei Lavoratori: e ora tutele e diritti anche ai freelance

Lo Statuto dei lavoratori compie oggi cinquant’anni. La pandemia di coronavirus ha però sconvolto la nostra concezione del mondo del lavoro: Fanpage.it ha fatto il punto con Renata Semenza, professoressa di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro all’Università degli Studi di Milano e autrice del libro “Lavoro apolide. Freelance in cerca di riconoscimento”.
A cura di Annalisa Girardi
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Lo Statuto dei lavoratori compie oggi 50 anni. Mezzo secolo fa, il 20 maggio 1970, veniva emanata la legge 300, il più ampio quadro normativo nel nostro Paese in materia di diritto del lavoro. Non solo sono state introdotte importanti modifiche per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, ma sono anche state sancite delle liberà fondamentali come quella di associazione sindacale e di sciopero. La pandemia di coronavirus, che potrebbe portare via circa mezzo milione di posti di lavoro, sottolinea però come sia necessario rivedere la nostra stessa concezione del lavoro. Fanpage.it ha fatto il punto con Renata Semenza, professoressa di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro all'Università degli Studi di Milano e autrice del libro "Lavoro apolide. Freelance in cerca di riconoscimento" (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli).

Sulla pagina di Feltrinelli, oggi ci sarà spazio per una nuova tappa del percorso #Forzalavoro lanciato dalla Fondazione, "per pensare a chi sono i lavoratori e le lavoratrici di oggi, a quali sono i percorsi collettivi che portano a reagire alla frammentazione e al senso di insicurezza di questa crisi globale che stiamo attraversando". Anche la professoressa Semenza parteciperà con un intervento sul lavoro e il tempo libero per i lavoratori della cultura e dell’istruzione.

"Freelance, le icone dell'ordine post-industriale"

"Lo Statuto è un pezzo della nostra storia giuridico-istituzionale, sicuramente da salvare e semmai da estendere", ha affermato Semenza, sottolineando la necessità di dilatare il bacino di lavoratori a cui si rivolge:"Oggi con la flessibilità che caratterizza gli effetti contrattuali e il funzionamento del mercato del lavoro, ovviamente va rivisto ed esteso oltre il lavoro salariato". Nel suo libro la professoressa tratta proprio di "quella fetta di lavoro che ha perso il suo statuto sociale, la sua cittadinanza". Quindi quel lavoro a cui non è riconosciuta protezione sociale: "Sono i professionisti autonomi, o freelance, che sono le icone e i simboli del nuovo ordine post industriale. Sono figure economiche che crescono in tutta Europa". Le misure economiche messe in campo dal governo a sostegno dei lavoratori durante la pandemia, spiega poi Semenza, "per la prima volta hanno incluso i freelance che sono sempre stati esclusi da qualsiasi tipo di tutela".

I lavoratori freelance non hanno accesso a moltissime delle tutele riconosciute ai lavoratori dipendenti, come la maternità, le ferie o la malattia. Per la prima volta, nel pieno della pandemia, questi lavoratori sono però "diventati visibili a tutti", prosegue Semenza. "Il bonus di 600 euro non è risolutivo, ma è una buona occasione per estendere le tutele nei loro confronti", aggiunge. Anche nel libro "Lavoro apolide", che riferisce di una ricerca europea, si sottolinea come l'insicurezza economica sia il problema principale a cui devono far fronte i freelance, che percepiscono guadagni intermittenti i quali spesso non possono garantire livelli di vita adeguati, anche rispetto al livello di istruzione di queste figure. Già con la riforma del lavoro del 2017 c'è stato un primo passo verso il riconoscimento di maggiori tutele sociali ai freelance. "Una parte del Jobs Act è dedicata al lavoro autonomo", continua Semenza spiegando come in quella occasione si fosse cominciato a dare maggiore visibilità a queste figure professionali, che stanno crescendo in tutta Europa.

L'opportunità del lavoro agile

L'emergenza coronavirus ha anche aumentato il ricorso alla modalità del lavoro agile. Durante il lockdown, specifica Semenza, si trattava in realtà di lavoro da remoto svolto da casa, ma sono state gettate le basi per poter ricorrere più facilmente a modalità di lavoro agile (smart working) nel ritorno alla normalità: "Questo strumento da enormi opportunità. In Italia era usato circa al 3% della forza lavoro. Anche negli altri Paesi europei si registravano percentuali molto basse. Oggi ci sono delle ricerche fatte dalle associazioni di categoria che stimano che le imprese vorrebbero utilizzare il lavoro agile per una media del 30%". La professoressa sottolinea quindi come questo strumento favorirebbe la conciliazione tra vita lavorativa e personale nelle persone, così come faciliterebbe la mobilità nelle grandi città e avrebbe risvolti positivi sull'impatto ambientale. "Ci sono però anche dei grandi rischi, per cui questa modalità va tutelata molto bene. Si sta quindi parlando di fare dei contratti collettivi, perché adesso è un accordo individuale in Italia tra datore di lavoro e lavoratore, e sicuramente non deve diventare qualcosa come una politica di conciliazione rivolta prevalentemente alle donne", afferma Semenza.

Sul rischio che a ricorrere a questa modalità di lavoro siano principalmente le donne per conciliare la propria professione con la cura della famiglia, la professoressa spiega: "C'è il pericolo che diventi qualcosa che la letteratura chiama ‘privilegio handicappante', per cui invece di favorire diventa un handicap. Perché se una donna non mette più piede nel luogo di lavoro mentre i colleghi uomini continuano a farlo, è chiaro che questa verrà svantaggiata, perché riceverà meno formazione e incontrerà degli impedimenti alla carriera". In sostanza, siamo di fronte a una grande opportunità che dovrà però essere ben regolata.

Cosa ci ha insegnato la pandemia sul lavoro nero

Le misure economiche messe in campo per contrastare l'emergenza coronavirus hanno anche evidenziato il peso del lavoro nero nell'economia italiana. Con la richiesta, attraverso l'Inps, di sussidi come il reddito di emergenza, molte persone sono emerse dal lavoro nero: "Questo è stato un bel passo avanti. Noi abbiamo una quota importante di lavoratori in nero sul totale della forza lavoro. Sicuramente oggi abbiamo una grande opportunità per fare emergere una parte di lavoro che è connaturata al sistema economico italiano", afferma Semenza. "Sicuramente il lavoro nero è da combattere in quanto questi lavoratori non hanno tutele. Ma fa parte in modo fisiologico della nostra economia, non è qualcosa di altro, di diverso. Vanno quindi trovati degli strumenti molto sottili", conclude la professoressa, affinché questo percorso intrapreso durante l'emergenza possa continuare e beneficiare la ripresa.

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