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Aumenta lo stipendio dei detenuti. E allora, perché dovrebbe essere uno scandalo?

Da qualche giorno la notizia relativa all’aumento degli stipendi dei detenuti sta facendo discutere e provocando un’accesa polemica. Le dichiarazioni diffuse da Sappe e Lega Nord, però, sono fuorvianti e tendenziose e in realtà l’indignazione provocata non ha ragione d’esistere.
A cura di Charlotte Matteini
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Da qualche giorno sul Web e sui social si discute dell'aumento degli stipendi dei detenuti, che dopo anni di blocco – dal 1994, per la precisione – dal primo ottobre verranno adeguati allo standard salariale previsto dalla legislazione penitenziaria e aumentati dell'83%, per una cifra oraria pari a 7 euro. La notizia, diffusa da Donato Capece – segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria – e da Paolo Grimoldi della Lega Nord sta provocando un'accesa polemica nonché le veementi proteste di utenti e lettori, i quali sostengono sia un'ingiustizia l'adeguamento previsto per i detenuti e non concesso agli agenti di polizia penitenziaria e a tanti altri lavoratori che lavorano a condizioni inique.

"Lo Stato aumenta a mille euro lo stipendio ai detenuti, alla faccia di milioni di disoccupati, pensionati e precari che quella cifra se la sognano", ha dichiarato Grimoldi contestando la misura. "Dal mese di ottobre lo Stato aumenterà dell'83% gli stipendi mensili versati ai detenuti che svolgono mansioni per sei ore al giorno per conto delle amministrazioni statali nelle cucine, nelle pulizie, nel giardinaggio portandoli a mille euro mensili, il doppio delle pensioni minime percepite da tre milioni di italiani che, nella loro vita, si sono comportati onestamente senza mai fare del male alle persone o allo Stato", sottolinea l'esponente della Lega Nord, evidenziando inoltre che "negli altri Stati europei i detenuti lavorano per pagare il loro mantenimento e non far gravare le loro spese di vitto, alloggio e sorveglianza sui contribuenti, in Italia invece non solo ogni singolo detenuto costa quotidianamente 160 euro alle casse pubbliche, dunque ad ogni singolo contribuente, ma inoltre gli paghiamo mille euro al mese di stipendio". 

Dello stesso avviso è il segretario del Sappe, Donato Capece, che protesta contro l'adeguamento è sottolinea che con questo aumento un detenuto guadagnerà "praticamente quanto prende al mese un agente di polizia penitenziaria. Solo che loro hanno vitto e alloggio pagato, gli agenti hanno sulle spalle mutui pesanti. È una vergogna di cui nessuno ha il coraggio di parlare. Gli agenti sono costretti, però, a fare anche straordinari per tappare i buchi causati dalla carenza di organico. Straordinari che non sempre vengono pagati. In Germania il detenuto che lavora prende 87 centesimi all’ora e si paga anche la corrente elettrica che usa. Noi, invece, non soltanto li ospitiamo gratis in carcere, ma gli garantiamo uno stipendio. Mentre allo Stato, ovvero a ogni italiano che paga le tasse, ogni detenuto costa al giorno circa 160 euro. Quello stesso Stato che dice di non avere soldi per noi agenti e che dà pensioni da fame a chi ha lavorato una vita. Non ha alcun senso".

Come spesso accade, però, in realtà la realtà è ben più vasta e articolata rispetto a come viene dipinta dal Sappe e dalla Lega Nord. Per poter capire meglio la questione è necessario fare un breve passo indietro e descrivere il quadro complessivo: la cosiddetta mercede, ovvero la retribuzione dei detenuti lavoratori, è prevista dall'articolo 20 della legge penitenziaria del 26 luglio 1975:

Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la regione.

Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato.

Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro.

L'articolo 22 della stessa legge regola invece la determinazione delle mercedi e prevede che per ciascuna categoria di lavoranti siano "equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro".

Come spiegato dal militante radicale Emilio Quintieri, le notizie diffuse dalla Lega Nord e dal Sappe, inoltre, risultano essere fuorvianti e tendenziose. Nel complesso "ai detenuti che lavorano in intramoenia per l'Amministrazione Penitenziaria (circa 12.500 di cui 4.600 stranieri) viene corrisposta una paga da fame, poco più di 150 euro al mese. Una miseria, altro che 1.000 euro. Per 25 giorni lavorativi e 75 ore mensili che, nella realtà, sono di più". Quintieri ribadisce inoltre che le retribuzioni orarie non venivano aggiornate da 23 anni, in violazione di quanto previsto invece dall'articolo 22 della legge penitenziaria "perché non ci sono soldi. Per tale motivo, negli anni, l'Amministrazione Penitenziaria, è stata ripetutamente condannata – quando i detenuti si sono rivolti ai Giudici del Lavoro – a sborsare fino a 20.000 euro per ogni singola causa".

Entrando ancor più nel dettaglio, riportiamo i dati diffusi da Damiano Aliprandi de Il Dubbio: "Fino ad oggi, ogni ora, al lordo, un addetto ai servizi vari di istituto guadagna da 3,38 a 3,71 euro; il muratore, imbianchino, idraulico, elettricista tra i 3,62 e i 4,03 euro; i lavoratori agricoli tra i 3,98 euro e 3,48; i metalmeccanici tra i 3,44 e i 3,77 euro; chi opera nel settore tessile tra i 3,30 e i 3,78 euro; i calzolai guadagnano tra i 3,05 e i 3,95 euro; i falegnami tra i 3,69 e i 4,13 euro. Per capire ancora meglio la questione salariale dei detenuti, prendiamo ad esempio un dossier del periodico del carcere milanese Carte Bollate risalente al 2015. In un passaggio scrive che ‘la retribuzione dei lavoratori carcerati con mansioni amministrative, dall’estate 2015, mediamente, il salario di un addetto alle pulizie è passato da 220 euro netti mensili a circa 150 euro. I carcerati che fanno pulizie e distribuzione cibo guadagnano 167,91 euro; gli addetti agli uffici spese 152,78 euro; gli addetti alle tabelle spese 205, 59 euro. Questo, per 25 giorni lavorativi e 75 ore complessive al mese”.

È vero che i detenuti hanno diritto a vitto e alloggio gratuiti, come sostiene il Sappe? Anche in questo caso la notizia diffusa non è esatta. "Tra le altre cose false riferite da Capece vi è la circostanza che i detenuti abbiano ‘vitto e alloggio gratis' contrariamente alla Polizia Penitenziaria che deve pagare anche i locali in caserma per dormire. Vitto e alloggio non sono gratis! I detenuti, quelli che lavorano tutti nessuno escluso, pagano allo Stato la ‘quota di mantenimento' che ammonta a 3,62 euro al giorno (0,27 euro per la colazione, 1,09 euro per il pranzo, 1,37 euro per la cena e 0,89 euro per il corredo), per un importo mensile di 108,6 euro, il doppio di quanto era stabilito fino al 2015", spiega Emilio Quintieri.

Insomma, chiarito il quadro complessivo della questione, perché l'indignazione scatenata dalle notizie diffuse Lega Nord e Sappe non ha ragione d'esistere? Innanzitutto perché, come dimostrato da questo breve debunking, le dichiarazioni si sono rivelate essere false e tendenziose. In secondo luogo, però, esiste anche un'ulteriore ragione, molto più importante ed essenziale: il lavoro in carcere non è un premio, ma un obbligo di legge che prevede l'esonero solo in determinate situazioni sancite dalla stessa normativa, normativa che peraltro è stata per oltre due decenni disattesa nella sua parte relativa all'adeguamento delle mercedi, necessario a garantire una retribuzione equa e dignitosa. Il lavoro è inoltre la modalità principe volta a favorire il recupero e reinserimento sociale dei detenuti, quel recupero sociale sancito e previsto dalla Costituzione italiana all'articolo 27: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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