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Paolo Pantani al carissimo figlio Marco: “Con l’aiuto di Dio riavrai la dignità”

La lettera accorata del genitore a dieci anni dalla scomparsa del campione del ciclismo: “Te ne sei andato con il tuo dolore, invocando quella innocenza che ti è sempre stata negata. Per cinque anni ti hanno torturato. Eri un uomo buono, giusto, sensibile, onesto e generoso. L’abisso si era impadronito del tuo cuore”.
A cura di Maurizio De Santis
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Lettera accorata di un padre a un figlio morto. Paolo Pantani l'ha scritta a Marco, deceduto il 14 febbraio del 2004 a Rimini. Marco il ‘pirata', “l'uomo solo al comando” che spernacchiò la grandeur dei francesi sui Campi Elisi, oscurò la fama di Argentin, Bugno e Chiappucci, trasformò Chioccioli in una parentesi, Berzin e Rominger in uno scherzo del destino. Nemmeno per Miguel Indurain fu più la Vuelta buona. Pantani oggi avrebbe 44 anni, il suo ricordo continua a pedalare nelle curve della memoria.

"Carissimo Marco, penso ogni istante a quel dolore che ti ha devastato. E non posso accettare che ci sia qualcuno che dubiti di te. Carissimo immenso Marco, mi manchi da morire. Mai avrei pensato che qualcuno potesse mancarmi così tanto. Sono passati dieci anni e non riesco ancora a darmi pace in tutto questo tempo non ho mai smesso di tormentarmi pensando ogni istante a quel dolore così devastante che ti ha fatto patire quell’inferno, da quel giorno a Madonna di Campiglio. La tua dolcissima anima ha cominciato quel lungo viaggio senza ritorno. Che purtroppo ti ha tolto la tua dignità e portato lontano da noi. Hai dedicato tutta la tua vita al ciclismo dando sempre tutto te stesso e ti sei ritrovato in un incubo senza fine. Ti sei sempre dovuto difendere senza avere alcuna colpa, hai sempre lottato fino alla fine. Non ti sei mai arreso, hai sempre gridato la tua innocenza, chiesto giustizia e verità, ti hanno portato via tutto colpendoti profondamente nel tuo cuore, hanno infangato ogni tuo sacrificio buttandoti giù ogni volta che hai cercato di rialzarti, per cinque anni ti hanno torturato".

"Sette procure, giudici, giornali, televisioni, enti sportivi compreso la federazione ciclistica. Non riesco a darmi pace, non potrò mai rassegnarmi e accettare che un uomo buono, giusto, onesto, sensibile e generoso come te abbia dovuto soffrire tutto quell’inferno, dolore, tormento. In questi dieci anni non ho mai smesso di pensarti e di vederti così solo e disperato. Il tuo dolore ti ha fatto precipitare in quell’abisso che si era impadronito del tuo dolcissimo cuore. Ma io so che hai dovuto soffrire un così atroce dolore perché tutti i tuoi sogni, i tuoi progetti, le tue speranze ti sono stati negati. E perché la tua vita piena di gioia ti è stata portata via. Tutte quelle assurde menzogne e falsità ancora oggi purtroppo continuano a farti del male. Non riesco ancora ad accettare che ci sia qualcuno che dubiti di te. Che tante persone ti abbiano potuto usare e poi tradire voltandoti le spalle, ferendoti così profondamente, tradendo quella amicizia che tu credevi sincera da parte loro, tutto il fango, le accuse, l’infamia che ti hanno buttato addosso non potevi sopportarli. Tu sei nato e hai sempre vissuto per la bici. L’amavi così tanto da portarla anche a letto con te".

"Hai sopportato con tanti sacrifici tutti gli ostacoli che la vita purtroppo ti ha riservato troppe volte. E che tu con la forza della tua infinita passione hai sempre superato ripartendo più forte di prima. Te ne sei andato con il tuo dolore, invocando quella innocenza che ti è sempre stata negata. Carissimo Marco, il mio unico desiderio è che ti sia restituita la tua dignità con l’aiuto di Dio e di quelle persone che si devono mettere una mano sul cuore per tirare fuori la verità tanto sanno che tu le hai già perdonate, solo così la vita sarà migliore per tutti. Ti hanno torturato per cinque anni, hanno infangato ogni tuo sacrificio buttandoti giù ogni volta che hai cercato di rialzarti. Per cinque anni ti hanno torturato. Eri un uomo buono, giusto, sensibile, onesto e generoso. L’abisso si era impadronito del tuo cuore".

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