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Il Boss delle cerimonie e il Castello delle Cerimonie

Castello delle Cerimonie, bisogna scegliere tra sentenza e posti di lavoro? Il caso Sonrisa e le sue contraddizioni

Il caso Sonrisa: una sentenza di Cassazione fino a dove può flettersi, può piegarsi alla situazione dei lavoratori del Castello delle Cerimonie?
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Il ristorante "La Sonrisa" visto dall'alto
Il ristorante "La Sonrisa" visto dall'alto
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In certi casi far finta di niente significa prendersi in giro. E prendersi in giro serve solo a perdere tempo. Ma prima o poi certe situazioni arrivano al capolinea e chiedono il conto. Lunga, tortuosa la strada della legge, tant'è che nel caso del ristorante-hotel per cerimonie "La Sonrisa", confiscato ai proprietari, la famiglia Polese e ora passato nelle proprietà del Comune di Sant'Antonio Abate, per arrivare a mettere il punto ci sono voluti molti anni.  Nel 1979 è avvenuta la lottizzazione abusiva e gli abusi edilizi su 40mila metri quadri di terreno, nel 2011 la Procura ne ha chiesto conto alla proprietà e dopo oltre un decennio è arrivata l'esecutività di una sentenza di confisca dalla Suprema Corte di Cassazione

Dicevamo di non prenderci in giro. La Sonrisa è un posto come gli altri ma allo stesso tempo non lo è. Location di matrimoni "alla napoletana", tra il trash e il preoccupante? Sicuramente. Ma pure di film e  show tv, prima di arrivare alla grande operazione "Boss delle cerimonie". Quando Antonio Tobia Polese, patriarca della famiglia diventa un personaggio televisivo, la complessa situazione del "Castello" di via Stabia a Sant'Antonio è già in essere.

Per tutti questi anni il reality show è andato avanti, tra matrimoni, battesimi, diciottesimi e nozze d'oro senza colpo ferire. C'erano gli altri gradi di giudizio, c'era il ricorso alla Cassazione e così via. Ora siamo arrivati al capolinea, anche se gli avvocati dei Polese hanno annunciato l'extrema ratio, ovvero il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo, ritenendo violato il diritto al giusto processo.

E veniamo alla grande contraddizione di questi giorni, che è poi la contraddizione eterna del Sud Italia: rispetto delle leggi vs. la  sopravvivenza (precaria) di tante esistenze.  Sul Comune di Sant'Antonio Abate, 20mila abitanti nella valle che affaccia sui Monti Lattari, è franata l'intera vicenda e non è giusto. Regione Campania, Prefettura, Città Metropolitana di Napoli e qualsiasi altro ente deputato al tema lavoro devono iniziare a porsi seriamente la questione di chi oggi lavora nella struttura. Parliamo di 150 addetti tra fissi e stagionali e di un indotto di forniture per beni e servizi che riguarda non solo gli abatesi ma anche altre i centri adiacenti.

Gli interni del "Castello" di Sant'Antonio Abate
Gli interni del "Castello" di Sant'Antonio Abate

Giovedì 22 febbraio una manifestazione dei lavoratori de La Sonrisa chiederà alle istituzioni di salvaguardare il Castello delle Cerimonie coi suoi dipendenti, l'indotto e con tutto il suo carico di eventi già fissati (e in parte pagati da chi lì vuole festeggiare matrimoni e altri eventi) di qui a due-tre anni.

La domanda è questa e non si scappa: una sentenza di Cassazione fino a dove può flettersi, in che modo può piegarsi a questo stato di cose? Vengono prima i lavoratori, dunque la pace sociale di un territorio già depresso, o viene prima la decisione della giustizia italiana, giunta dopo aver appurato i fatti ma decenni dopo l'inizio del procedimento? Perché è questo il terreno di discussione di queste ore. E le decisioni che saranno prese rappresenteranno un esempio, un fondamentale precedente – positivo o negativo, lo scopriremo solo vivendo – per i tanti abusi sul territorio italiano.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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