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Cristina Mazzotti sequestrata e uccisa a 18 anni dalla ‘ndrangheta a Como: riparte il processo

Oggi martedì 9 maggio è il giorno dell’udienza preliminare per nuovi quattro imputati accusati di aver partecipato al sequestro di Cristina Mazzotti, la 18enne trovata morta due mesi dopo in una discarica.
A cura di Giorgia Venturini
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È il giorno dell'udienza preliminare per tre nuovi imputati accusati di aver partecipato al sequestro e alla morte di Cristina Mazzotti, la 18enne che la notte del primo luglio del 1975 è stata rapita da un commando della ‘ndrangheta mentre era in compagnia di alcuni amici a Eupilio, in provincia di Como.

Per le terza volta si riapre l'inchiesta sul caso: le indagini si sono concentrate su chi partecipò materialmente al sequestro. Oggi, martedì 9 maggio, si sono aperte le porte del Tribunale per Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito. Negli anni sono state condannate già tredici persone legate alla ‘ndrangheta.

Il caso di Cristina Mazzotti

Al Nord, sono gli anni dei sequestri di persona: così bande criminali legate alla ‘ndrangheta si alimentavano. Andavano a caccia di figli, nipoti, parenti di noti industriali ed imprenditori a cui chiedere riscatto in cambio della vita dei propri cari. Le vittime erano per lo più minorenni o adolescenti.

Quella sera Cristina, figlia di un broker nel settore dei cereali Helios Mazzotti, era uscita con il fidanzato e gli amici a festeggiare la fine della scuola. Stavano percorrendo la strada che porta a Longone al Segrino. Si trovavano nel comune di Eupilio quando la Mini su cui viaggiavano venne affiancata da una Fiat125. Dall'auto scese un uomo armato, altri restarono in macchina. La diciottenne forse per non mettere in pericolo gli amici cercò di opporsi ma poi cedette.

Il corpo della ragazza verrà ritrovato il primo settembre dello stesso anno. Il padre era riuscito a trovare i soldi del sequestro ma lo scambio non avvenne mai: Cristina morì a causa dell'eccesso di tranquillanti che le diedero. Quando era ormai in fin di vita, i suoi sequestratori gettarono il corpo in una discarica.

A chiedere nel 2021 la riapertura dell'indagine è stato l'avvocato Fabio Repici: il legale si stava occupando del caso di Bruno Caccia – di cui rappresenta in Tribunale la famiglia – quando si è imbattuto nel nome di Demetrio Latella. Così scoprì il suo ruolo nel sequestro Mazzotti.

Chi sono i tre imputati

A svelare chi partecipò materialmente al sequestro sarebbe stato Demetrio Latella: per lui erano scattate già le manette quando gli inquirenti avevano trovato una sua impronta digitale sulla macchina dei sequestratori. Aveva deciso di raccontare tutto nel 2012, fino ad arrivare a fare nuovi tre nomi che quella triste sera parteciparono al commando del sequestro. Ora lui è uno dei quattro imputati.

Uno degli altri tre imputati è Giuseppe Calabrò, originario di San Luca, in provincia di Reggio Calabria: è conosciuto come ‘u dutturicchiu, ovvero il "dottore". È già noto alla giustizia italiana per le sue condanne per droga, armi e tentato sequestro. Altro indagato per l'omicidio di Cristina Mazzotti è Antonio Talia, 71 anni: per tutta la criminalità organizzata invece lui è uomo della cosca di Africo che per anni ha visto al comando il boss Peppe Morabito.

Quarto imputato è Giuseppe Morabito, ovvero il boss della ‘ndrangheta di 78 anni originario di Africo, in provincia di Reggio Calabria.

Sono state archiviate invece le indagini per Antonio Romeo, un avvocato che esercita a Reggio Calabria. Quando per lui era arrivato l'avviso di garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere. Era conosciuto come il figlio di Sebastiano Romeo, ovvero un ‘ndranghetista noto con il nome di ‘u Staccu, capo della società minore di San Luca.

Secondo la Procura, gli imputati agirono in concorso ad altre persone che non sono state ancora identifica.

Le parole della nipote di Cristina Mazzotti

Bisognerà attendere l'avvio del processo e un'eventuale condanna per capire il coinvolgimento dei quattro imputati nel rapimento di Cristina Mazzotti. Oggi la nipote Arianna – nata proprio quella terribile estate – fa in modo che non si abbassi l'attenzione e la memoria: "Cristina era la sorella di mio padre ma io non l'ho mai conosciuta, sono nata proprio in quella drammatica estate. Oggi il mio impegno è tenerne viva la memoria perché mi occupo della Fondazione Cristina Mazzotti, oggi un fondo della Fondazione Provinciale della Comunità Comasca, che ha come obiettivo la prevenzione delle condotte antisociali nei giovani, attraverso attività educative, di formazione con un occhio molto attento all’educazione alla legalità".

E ancora: "In quanto familiare di vittima innocente delle mafie collaboro spesso con Libera, ma il mio impegno è principalmente rivolto a sensibilizzare i giovani, raccontando quello che è successo a mia zia". Sulla riapertura del caso precisa: "È stata una grande sorpresa per noi, appresa dai giornali".

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