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Brescia, diffondono video intimi di una 40enne: pm chiede il processo per tutti gli indagati

Nell’inchiesta sulla diffusione di video intimi di una dottoressa di 40 anni, originaria di Brescia, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti e dieci gli indagati. Tra di loro configurano un ex calciatore, un buttafuori, un personal trainer e anche l’ex compagno. Proprio lui potrebbe rischiare il massimo della pena previsto dalla legge sul revenge porn.
A cura di Ilaria Quattrone
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Foto di repertorio
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Il sostituto procuratore della Procura di Brescia, Benedetta Callea, ha chiesto il rinvio a giudizio per i dieci indagati nell'inchiesta sui video intimi di una dottoressa bresciana di 40 anni diffusi su Whatsapp. Lo scorso febbraio infatti alcune immagini personali della donna sono state condivise sulle delle chat e in poco tempo hanno fatto il giro del web, arrivando addirittura in alcuni siti sud-americani.

Tra gli indagati anche un ex calciatore

A causa di questa condivisione, la 40enne ha perso il lavoro. Una volta resasi conto di quanto stava accadendo, la donna ha denunciato il fatto in Procura dando così inizio a un'inchiesta. Lo scorso dicembre sono state iscritte nel registro degli indagati dieci persone. Tra loro figurano un ex calciatore, la figlia di un noto allenatore, un personal tranier e un buttafuori. Tutti sono stati accusati di revenge porn. Stando a quanto riportato dal quotidiano "Il Giornale di Brescia", alcuni di loro si sono presentati in Procura per fari ascoltare mentre altri hanno depositato una memoria scritta.

Diffusi anche i dati personali e sensibili della donna

Sulla base delle indagini della Procura, i filmati sarebbero stati diffusi dall'ex compagno dopo la fine della relazione con la donna. Oltre alle immagini però sono stati diffusi anche dati sensibili e personali come l'indirizzo di casa: la donna infatti ha iniziato a trovare sotto casa diversi sconosciuti. E proprio l'ex compagno rischierebbe il massimo della pena. Secondo la legge sul revenge porn infatti il responsabile potrebbe essere condannato da uno a sei anni di carcere e pagare una multa fino a 14mila euro.

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