347 CONDIVISIONI

“Ma quale Isis? L’Italia andrà in Libia per controllare i giacimenti di petrolio”

Secondo lo storico ed esperto di Libia Angelo Del Boca la partecipazione alla guerra espone l’Italia ad un alto rischio di subire attacchi terroristici.
A cura di Davide Falcioni
347 CONDIVISIONI
Immagine

"La nuova guerra in Libia espone l'Italia a un elevato rischio di subire attentati terroristici": lo sostiene, intervistato da Fanpage, il professor Angelo Del Boca, scrittore e storico ritenuto uno dei maggiori conoscitori europei della Libia. Nei giorni in cui il governo ha confermato un impegno diretto del nostro paese in una nuova guerra, Del Boca ricorda anche quali sono i reali interessi in campo: di certo non solo quello di arginare l'avanzata dello Stato Islamico, ma soprattutto la necessità di mantenere il controllo sulle risorse energetiche del paese: "La Libia è il paese con le più importanti riserve di petrolio: per questo gli ex stati colonialisti sono molto interessati. Per esempio la Francia 4 anni fa scatenò una guerra contro Gheddafi per prendere il posto dell'Italia (nel controllo dei ricchi giacimenti, ndr) e anche oggi ci sono truppe francesi nell'area di Tobruk di certo non solo per bloccare l'Isis, ma soprattutto per dire ‘Noi siamo qui quindi il petrolio è anche nostro'". La Libia rischia dunque di diventare il teatro di un braccio di ferro tra grandi potenze occidentali, Italia e Francia in primis. Uno scontro di cui subiranno le conseguenze inevitabilmente anche i civili.

Quello che disegna Del Boca è dunque un tipico scenario "neo-coloniale". In Italia il prossimo intervento militare in Libia viene presentato come un tentativo di fermare lo Stato Islamico e avviare un processo di pacificazione del Paese. In realtà, tuttavia, si tratta di una "giustificazione" difficilmente credibile: dalla caduta di Gheddafi – avvenuta nel 2011 in seguito proprio a una guerra lanciata da Francia e Inghilterra con il sostegno dell'Italia – i delicati equilibri che regolavano la Libia sono del tutto saltati. Le centinaia di clan che si dividono il territorio, fino a quel momento tenuti a bada (con le buone o con le cattive) dal colonnello , hanno avviato un conflitto interno con lo scopo di espandere i propri interessi. Su questo De Boca è chiaro: "La caduta di Gheddafi è stato un errore enorme che ha gettato il paese nell'assoluto caos, quasi al livello della Somalia: non si rimuove un regime senza avere una strategia per il futuro. Oggi non ci sono solo i regimi di Tobruk e Tripoli: c'è Misurata, ci sono centinaia di importantissime tribù".

Insomma, anche per la Libia – come anche per l'Iraq – l'attuale situazione è figlia delle guerre promosse dalla Nato e sostenute dall'Italia. A pochi giorni dal decollo dei primi droni da Sigonella Del Boca critica anche le dichiarazioni del ministro Pinotti: "Dire che che l'America chiederà il permesso all'Italia è ridicolo. Gli americani faranno quello che vogliono". E anche sull'invio di 5mila militari: "E' ridicolo. In una guerra a terra in assenza di un esercito nazionale libico sarebbero necessari almeno 300mila uomini. Il paese è immenso e le tribù da sorvegliare sono 140".

Il lupo perde il pelo ma non il vizio, dunque. A cinque anni dall'intervento anglo-francese – appoggiato anche dall'Italia – ci apprestiamo a partecipare in prima linea a una nuova guerra dalle conseguenze drammatiche per i libici, ma potenzialmente pericolosa anche per noi. Non è difficile prevedere che l'intervento occidentale finirà per ricompattare i clan in chiave anticolonialista e indipendentista. E non è difficile prevedere che questo fronte avrà posizioni vicine all'Islam radicale.

347 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views