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Le persone dell’anno secondo Time: i giornalisti “guardiani” della verità

Per la storica copertina di dicembre del settimanale statunitense dedicata alle Person of the Year, il giornalista Khashoggi e i cronisti di Capital Gazette uccisi ma anche la direttrice del sito di informazione online filippino Rappler e due report birmani. Tutti finiti nel mirino di regimi autoritari per il loro lavoro di “guardiani” della verità.
A cura di Antonio Palma
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Perseguitati politicamente, ostacolati, aggrediti e uccisi  solo perché facevano il proprio lavoro di "guardiani" della verità contro il potere. Sono i giornalisti scelti da settimanale statunitense  Time come persone dell'anno 2018 per la sua storica copertina. Non un singolo volto dunque ma le facce di un gruppo di giornalisti, loro malgrado diventati famosi perché presi di mira per il loro lavoro. Tra le Person of The Year 2018 annunciate oggi da Time, infatti, troviamo Jamal Khashoggi, il giornalista saudita pesantemente critico nei confronti del governo di Riad  che per anni ha denunciato il potere totale e la soppressione della libertà di parola nel suo Paese e per questo ucciso e fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul a ottobre, ma anche la redazione della Capital Gazette, il giornale di Annapolis, negli Stati Uniti, vittima di un attacco terroristico in cui hanno perso la vita cinque giornalisti.

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È la prima volta che Time sceglie personaggi deceduti per la sua copertina della persona dell'anno, ma al loro fianco compaiono altri  professionisti dell'informazione che si battono ancora contro il potere come Maria Ressa, la 55enne direttrice del sito di informazione online filippino Rappler che ha raccontato la violenta guerra alla droga e le uccisioni extragiudiziali del presidente Rodrigo Duterte e per questo sottoposta a censure e minacce da parte del regime, ma anche i giornalisti birmani della Reuters Wa Lone e Kyaw Soe Oo, contro i quali il regime ha costruito accuse e processo farsa che hanno portato a una  condanna a sette anni di prigione per violazione delle leggi sulla segretezza solo perché hanno sfidato le divisioni etniche di quel paese documentando la morte di 10 musulmani Rohingya. "Studiando le scelte per il 2018 ci è apparso chiaramente che la manipolazione e l'abuso della verità sono stati il comune denominatore di tante delle più grandi storie dell'anno", ha detto il direttore della rivista Edward Felsenthal.

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Le persone dell'anno 2018 però rappresentano soltanto una piccola parte dei giornalisti  imprigionati ogni anno per il loro lavoro, 262 nel solo 2017 secondo i dati del Comitato per la protezione dei giornalisti. Anche quest'anno non sono mancati altri esempi colme il bengalese Shahidul Alam, imprigionato per oltre 100 giorni per aver  criticato il primo ministro Sheikh Hasina in un'intervista. In Sudan, la giornalista freelance Amal Habani è stata arrestata mentre raccontava delle proteste e percossa con bastoncini elettrici. In Brasile, la giornalista Patricia Campos Mello è stata oggetto di minacce dopo aver riferito che i sostenitori del presidente eletto Jair Bolsonaro avevano finanziato una campagna per diffondere notizie false su WhatsApp.  Victor Mallet, redattore di notizie in Asia per il Financial Times, è stato costretto ad andare via da Hong Kong dopo aver invitato un attivista a parlare in un evento del club della stampa contro la volontà del governo cinese.

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