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Le distanze tra costruzioni e il coordinamento tra il codice civile e il piano regolatore generale

La Cassazione del 14.12.2012 n. 23018 analizza il rapporto tra codice civile (873 c.c.) e piani regolatori generali e regolamenti edilizi comunali in materia di distanze tra costruzioni e afferma che le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche, sicché il giudice deve acquisirle d’ufficio; la stessa attività d’ufficio (per l’acquisizione della sentenza amministrativa di annullamento) deve avvenire quando consti al giudice che le suddette prescrizioni edilizie siano state annullate in sede giurisdizionale amministrativa.
A cura di Paolo Giuliano
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Il codice civile detta una serie di norme in materia di distanze tra costruzioni. Tali norme regolano,  non solo le distanze tra costruzione e costruzioni,, ma anche la distanza della costruzione dal confine.

La norma cardi è rappresentata dall'art. 873 c.c. rubricata con il titolo di "Distanze nelle costruzioni" il quale dispone che "Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore".

Dall'art. 873 c.c. si deducono alcuni principi 1) quando le costruzioni non sono unite o aderenti devono avere una distanza non minore di tre metri 2) i regolamenti locali possono stabilire una distanza maggiore (non minore). Per regolamenti locali ci si riferisce ai piani regolatori generali e/o ai regolamenti edilizi comunali, i quali – di solito – prevedono distanze tra le costruzioni (o dal confine) maggiori di tre metri, in altri termini impongono spazi più ampi rispetto a quanto previsto dal codice civile (il quale, ricordiamoci, è stato redatto nel 1942); 3) sempre dall'art. 873 c.c. si deduce che uno dei presupposti per l'applicazione delle distanze è dato dal fatto che i fondi devono essere "finitimi" nel senso che devono essere confinati o contigui, di conseguenza, se i due fondi sono separati da una strada pubblica l'art. 873 c.c. non è applicabile.

Il motivo o la ratio che spinge il legislatore a prevedere delle distanze minime tra le costruzione può essere facilmente individuata se si considera che il legislatore ha l'esigenza di evitare che si creino degli spazi angusti tra edifici che potrebbero compromettere la sicurezza del comprensorio edilizio e la salute. La violazione delle norme in materia di distanze comporta che la costruzione effettuata ad una distanza minore deve essere arretrata alla distanza prevista dal codice o dai regolamenti comunali (anche mediante abbattimento di tutto o di parte della costruzione) oltre al risarcimento del danno a carico di colui che ha subito la violazione.

Se l'esigenza delle distanze tra costruzioni è quella di evitare la creazioni di intercapedini non salubri o quanto meno pericolose è evidente che il legislatore autorizza costruzioni che escludono – a priori – la realizzazione di tali intercapedini, e, di conseguenza, considera legittima una costruzione a distanza "zero". Infatti, l'unico modo che ha il proprietario di costruire ad una distanza minore da quella prevista dal codice civile è quello di costruire in aderenza o in comunione con il muro del vicino.  Si tratta di due ipotesi regolate dal codice civile nell'art.  874 c.c. "Comunione forzosa del muro sul confine" e nell'art. 877 c.c. "Costruzioni in aderenza", queste due modalità di costruzione eliminando ab origine la possibilità (o il pericolo)  di intercapedini dannose o insalubri escludono l'applicabilità della normativa in materia di distanze legali tra le costruzioni.

La possibilità di deroga (in meglio) delle distanze, prevista dallo stesso codice civile, comporta che quando si devono individuare le distanze occorre fare riferimento a più fonti (si parte dal codice e si arriva ai piani regolatori generali o ai regolamenti edilizi comunali), proprio perchè la legge (inteso come codice civile) richiama i regolamenti, permette che tali documenti assumo al rango di norma integrativa (di pari grado) del codice. Quanto detto comporta che il giudice che deve  risolvere una questione sulle distanze deve verificare se sussistono regolamenti amministrativi integrativi del codice civile e deve "trovare" d'ufficio (cioè di sua iniziativa) i predetti regolamenti.

Però, trattandosi di provvedimenti amministrativi, può capitare che detti atti siano impugnati innanzi al giudice amministrativo (Tar o  Consiglio di Stato) e che su questi atti si abbatta la scure della giustizia amministrativa, in queste ipotesi, per risolvere una questione sulle distanze (se nelle more è intervenuta una sentenza – passata in giudicato – che ha annullato i predetti atti amministrativi) il giudice civile non solo non può più tenere conto del piano regolatore generale e/o del regolamento edilizio dichiarato illegittimo, ma dovrà anche d'ufficio trovare la sentenza che ha dichiarato illegittimo il predetto provvedimento integrativo del codice civile.

Cassazione civ. sez. II del 14 dicembre 2012 n. 23018 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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