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La rabbia di Luca, massacra la ex perché non aveva ritirato la denuncia per stalking

Giordana Di Stefano, madre di una bimba di 4 anni, è stata uccisa a coltellate nella sua auto la mattina del 6 ottobre 2013 a Nicolosi (Catania). I sospetti cadono subito sull’ex compagno e padre della figlioletta di 4 anni, Luca Priolo.
A cura di Angela Marino
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 "Rritira la denuncia e io ti lascio l'affido esclusivo della bambina". Luca aveva messo sul piatto una proposta che lo metteva al riparo da conseguenze penali per quegli ultimi anni di follia. Non solo, lo deresponsabilizzava anche per quella bambina nata troppo presto, quando erano giovanissimi. Sulla carta quel compromesso avrebbe potuto funzionare: Giordana teneva con sé la piccola e Luca poteva entrare nella Guardia di Finanza, come desiderava, con la fedina penale pulita. Solo che Luca non voleva andare per la sua strada. Il conflitto tra i due ragazzi aveva altre radici. Dietro a quella denuncia per stalking, infatti, c'erano l'ossessione, la gelosia l'orgoglio offeso di chi è stato allontanato, ma continua a considerare l'altro di proprio dominio.

Tra alti e bassi, liti e riconciliazioni, Luca e Giordana, si erano amati fino al 2012 poi le cose erano andate sempre peggio, fino alla rottura. "Uno degli errori più grandi che si possano fare – scriveva Giordana su Facebook – è tenere vicino chi sgretola la tua autostima, piano, con gesti apparentemente inconsapevoli". Alla fine della storia erano seguite le scenate di gelosia di lui, gli appostamenti, gli sms, fino a quell'intrusione in casa, da una finestra, che aveva fatto scattare in Giordana il campanello d'allarme. Nel 2013 la denuncia e il distacco.

Giordana era tornata a quella passione purtroppo mai diventata professione a causa della maternità precoce: la danza. Anche se non aveva mai smesso del tutto dopo aver abbandonato la scuola, era tornata a ballare, a uscire con le amiche, in una parola: a sorridere, con sua figlia e la sua famiglia. Nel 2015, dopo due anni di apparente calma che non avevano portato a nuove denunce, i giudici disposero il rinvio a giudizio per l'accusa di stalking.

Era successo quello che Luca temeva. Si sarebbero trovati insieme in un aula di tribunale, aggressore e vittima, l'una contro l'altro, a discutere della libertà di cui Giordana era stata privata da chi diceva di amarla. Il 6 ottobre 2015, Luca incontra Giordana mentre la ragazza torna a casa in auto. Nella Audi c'è anche il cugino, Luca, sale e comincia a parlare con Giordana alla presenza del giovane, poi gli chiede di scendere per lasciar loro un momento di privacy.

In tasca, però, Luca ha un coltello da caccia, una lama presa in un'armeria qualche mese prima, insieme ad alcuni indumenti militari. L'auto svolta in una strada nella periferia di Nicolosi, nel Catanese e si ferma. Ne esce solo Luca, sconvolto e sporco di sangue. L'indomani l'Audi viene ritrovata abbandonata con il corpo di Giordana, irriconoscibile, straziato da 48 coltellate. Non c'era trattativa che tenesse o accordo che potesse ricomporre la situazione: Luca aveva eliminato l'oggetto dalla sua ossessione. Subito sospettato dagli inquirenti viene rintracciato mentre tenta di fuggire su un treno per Lugano. Confessa, con disarmante arrendevolezza, tra le lacrime: "Sono stato io, l'ho uccisa".

I funerali di Giordana sono gremiti, per Luca, invece, non ci sono parole di comprensione, nemmeno da sua madre. La donna prende carta e penna e si rivolge alla madre di Giordana, l'altra madre:

Da quel maledetto giorno non riesco a darmi pace, non riesco a capire cosa ho sbagliato. Io che ho sempre educato i miei figli secondo i valori cristiani, che ho sempre sperato che un giorno mi avrebbero reso fiera dei sacrifici che ho fatto portando avanti questa famiglia. Mio figlio ha sbagliato e pagherà.

Alla fine Luca va in tribunale, come temeva, ma l'accusa ora è omicidio. Il pm Andrea Sorrentino chiede la condanna all'ergastolo. A mitigare il dolore della due famiglie, non c'è, purtroppo, neanche una diagnosi di seminfermità: Luca sapeva quello che faceva mentre ammazzava la madre di sua figlia. Nel giovane, concludono gli esperti nominati dal tribunale si sarebbe attivata una "rabbia narcisistica" che lo ha portato ad "eliminare l’oggetto che osava minacciarlo e che l’aveva umiliato nella sua immagine di uomo". La vicenda processuale di Luca Priolo si è conclusa con una condanna a 30 anni pronunciata al termine del processo con rito abbreviato.

Sua figlia, intanto, ha cambiato cognome con quello di sua madre.

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