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In Italia l’aborto è ancora un diritto negato: ora lo dice anche il Consiglio d’Europa

Il Consiglio d’Europa, accogliendo un ricorso presentato dalla Cgil, lancia un allarme: in Italia è ancora troppo difficile abortire e i medici non obiettori vengono costantemente discriminati. Nonostante siano passati quasi due anni dalla condanna inferta per lo stesso motivo, sempre dal Consiglio d’Europa, la situazione non è affatto cambiata e ancora oggi, in Italia, la legge 194 non viene pienamente applicata e le donne non sono ancora libere di scegliere.
A cura di Charlotte Matteini
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proteste pro aborto legge spagna

Ancora oggi, nonostante siano passati quasi 40 anni dall'entrata in vigore della legge 194 – ovvero la normativa che ha introdotto di fatto la legalizzazione e la regolamentazione dell'interruzione volontaria di gravidanza – in Italia è ancora troppo difficile abortire. A sostenerlo è il Consiglio d’Europa che, accogliendo un ricorso presentato dalla Cgil, lancia un allarme, senza mezzi termini: le donne nel Belpaese continuano a incontrare ‘notevoli difficoltà' nell’accesso ai servizi d’interruzione volontaria di gravidanza. L’Italia, quindi, viola quindi il loro diritto alla salute, ma anche i diritti di tutti quei lavoratori che hanno deciso di non scegliere la strada dell'obiezione di coscienza e proprio per questo motivo, negli ambienti sanitari, vengono discriminati dal personale medico obiettore che crea ostacoli e ‘diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti'.

Non è certo la prima volta che viene sollevata questo tipo di problematica dalle istituzioni italiane ed europee. Già nel 2014 il Consiglio d'Europa intervenne con una condanna comminata all'Italia per la "mancata tutela dei diritti fondamentali di ogni donna". Stando ai dati diffusi dal ministero della Sanità e da varie associazione pro-choice, ammonterebbe infatti a circa il 70% la percentuale complessiva di ginecologi obiettori di coscienza in Italia. Esistono strutture ospedaliere in cui la legge 194 non viene applicata perché vi lavorano esclusivamente obiettori, sono circa 40 su 100. In Molise e nella provincia autonoma di Bolzano, per esempio, oltre 9 ginecologi su 10 in media risultano essere obiettori di coscienza. E per le donne ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza diventa quindi un vero e proprio calvario. Nonostante la legge 194 esista dal 1978, ancora oggi questo diritto quindi non viene pienamente garantito e rispettato.

L'aborto, checché se ne dica, è una scelta sofferta per una donna. Non è un gioco, non vi si ricorre come fosse una semplice soluzione per porre rimedio a una distrazione consapevole, come molti pro-choice invece sostengono. Ci sono storie di dolore dietro questo tipo di decisione, magari situazioni familiari insostenibili. Una scelta che però viene garantita solo trasformando l'intervento in punizione, quando la donna riesce ad ottenerlo. "Abortirai con dolore", il titolo di un'inchiesta di Pagina 99, un titolo che è proprio il caso di dirlo, coglie perfettamente il punto della questione: in Italia per abortire si devono affrontare numerosi ostacoli, tra i medici di base obiettori che rimandano ai consultori, consultori che essendo troppo pochi non riescono a sbrigare celermente tutte le pratiche, ospedali in cui la situazione è tragica e le interruzioni di gravidanza vengono effettuate da uno, due, massimo tre ginecologi per struttura. A Niguarda, per esempio, uno dei grandi poli ospedalieri di Milano, solo due ginecologi non obiettori sono disposti a operare.

La scelta dell'obiezione di coscienza spesso viene presa in considerazione dai medici per evitare di subire discriminazioni sul posto di lavoro. Non sono rare le testimonianze di ginecologi non obiettori che hanno invece scelto la via dell'obiezione per questioni di carriera o per evitare episodi di mobbing o di finire a fare solo ed esclusivamente aborti, come spesso succede a quei medici che, anche a causa delle scarse risorse economiche e umane messe a disposizione nei reparti di Ivg, vengono relegati a occuparsi esclusivamente di interruzioni di gravidanza per tutta la vita. E quando vanno in pensione? Spesso e volentieri il servizio viene sospeso e possono passare anche mesi prima che venga trovato un nuovo ginecologo obiettore e venga riattivato. In questa situazione, quindi, le donne che vorrebbero scegliere di poter interrompere la gravidanza si trovano ad affrontare non solo una situazione molto difficile e pesante dal punto di vista psicologico, ma anche piena di ostacoli burocratici creati ad arte da chi non si rassegna a concedere quello che allo stato attuale è un diritto sancito dalla legge.

Il ministero della Salute, ogni anno, esultando, riferisce un calo degli interventi totali di interruzione di gravidanza. Effettivamente il calo potrebbe anche essere dovuto a una maggior efficacia delle campagne di sensibilizzazione e informazione promosse dalle associazioni pro-vita, per esempio, ma se nel 2014 il tasso di abortività totale ammonta al 7,2 per mille per le donne tra 15 e 49 anni ed è tra i più bassi d’Europa, è anche vero che viene accompagnato da un funesto 42% di donne che ammettono di non usare alcun tipo di anticoncezionale. Non solo: stando sempre ai dati diffusi dal ministero della Salute, il tasso di abortività è più alto in Emilia Romagna, Liguria, Piemonte. E queste tre regioni, guarda caso, sono anche quelle che offrono un servizio di Ivg migliore rispetto ai fanalini di coda nella classifica italiana, in cui ci si deve scontrare con la percentuale di obiettori più alta presente in Italia e di conseguenza con liste d'attesa molto più lunghe.

Cosa ci dicono questi dati? Il dubbio di alcuni operatori del settore è uno, il peggiore: che le donne stiano tornando a ricorrere alle interruzioni di gravidanza clandestine, perché impossibilitate a ricorrere a quelle legali permesse dalla legge 194 che, sostanzialmente, in certi luoghi d'Italia non viene affatto applicata. E proprio a questo proposito, poche settimane fa alcune associazione pro-choice hanno inscenato un tweet storm di protesta, in risposta a una nuova sanzione introdotta dal governo Renzi, ovvero la trasformazione dell'aborto clandestino entro i 90 giorni da reato a illecito amministrativo, innalzando le multe dai simbolici 51 euro ai minimo 5 mila fino ad un massimo di 10 mila euro. Nessuna donna si sognerebbe mai di ricorrere all'aborto clandestino se il proprio diritto ad accedere all'interruzione di gravidanza non venisse costantemente leso.

Non solo la legge 194 non viene quindi integralmente applicata, l'obiezione di coscienza arriva a pervadere territori che non sarebbero affatto di sua competenza: esiste per esempio il fenomeno dei farmacisti obiettori di coscienza che si rifiutano di vendere la contraccezione di emergenza, meglio conosciuta come "pillola del giorno dopo", per motivi etici. Nonostante agli inizi di marzo l'Agenzia italiana del farmaco abbia cancellato l'obbligo di prescrizione medica per l'acquisto della pillola Norlevo – obbligo già decaduto già nel 2015 per Ellaone, la "pillola dei 5 giorni dopo" – sono numerosi i farmacisti che ancora oggi si rifiutano di vederla, pretendendo una ricetta che di fatto non è più necessaria per legge. Se da una parte, quindi, i pro-life rifiutano di applicare una legge dello Stato, dall'altra invece pretendono di estendere il diritto all'obiezione di coscienza sancito dalla stessa legge 194 ad altri ambiti che invece non sarebbero affatto previsti.

A conti fatti, tra contraccezione d'emergenza negata, legge 194 applicata a macchia di leopardo, scuole di specializzazione che non prevedono alcun tipo di corso medico relativo all'Ivg, sanzioni da migliaia di euro per chi dovesse ricorrere all'aborto clandestino, le donne ancora oggi non sono affatto libere di scegliere, in Italia. Ancora oggi, nonostante siano passati oltre 40 anni dall'entrata in vigore della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, c'è sempre qualcuno, in questo Paese, che prova a piegare quelle che dovrebbero essere libere, personali e consapevoli decisioni a quello che è il proprio credo religioso, etico o morale.

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