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Aborto clandestino, la protesta delle donne contro la super multa fino 10 mila euro

Il governo ha depenalizzato il reato ma ha alzato le multe del 200%. Così le donne sono disincentivate a denunciare, ma anche ad andare in ospedale in caso di complicazioni. E a essere maggiormente penalizzate sono straniere e indigenti.
A cura di Claudia Torrisi
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Tra le depenalizzazioni decise dal governo con il decreto legislativo del 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione), c'è anche la trasformazione in illecito amministrativo dell'aborto clandestino entro i 90 giorni. Con lo stesso provvedimento sono state innalzate le multe, che da 51 euro (100mila lire ai tempi dell’approvazione della legge 194 del 1978) sono passate a una forbice che va da minimo di 5 mila e un massimo di 10 mila euro. Il governo ha sostanzialmente fatto un passo in avanti – la depenalizzazione – e tre indietro, su un tema che continua a essere delicatissimo nel nostro paese. L'interruzione di gravidanza in Italia, infatti, è consentita per legge, ma non sempre è garantita nella pratica: nel paese il 70% dei medici e degli infermieri sono obiettori di coscienza, con picchi fino al 90% in alcune regioni.

Prevedere multe così salate per le donne che abortiscono clandestinamente non è senza coseguenze, almeno per due ragioni. La prima riguarda le denunce: dovendo pagare 10 mila euro, difficilmente si andrà a raccontare di interruzioni di gravidanza fatte fuori dalle strutture adibite – cosa che invece accadeva con la cifra simbolica di 51 euro di sanzione. La criminalizzazione, quindi, non potrà funzionare da deterrente. La seconda ragione è ancora più importante: preoccupate di essere costrette a pagare multe che non possono sostenere, molte donne si negheranno la possibilità di andare in ospedale in caso di complicazioni post intervento. Considerato anche il fatto che la maggior parte di coloro che ricorrono all'aborto clandestino sono immigrate o indigenti. C'era un motivo, dunque, per cui nella legge 194 del 1978 erano previste cifre così bsse. Queste criticità si ritrovano tutte nelle denunce presentate dalle associazioni. In una lettera aperta al ministro della Salute Beatrice Lorezin, professionisti e delle professioniste della salute riproduttiva hanno denunciato che "aver incluso l’aborto clandestino del primo trimestre nel calderone delle depenalizzazioni, senza considerarne la peculiarità, possa avere gravi conseguenze sulla salute delle donne". Il messaggio è stato scritto per chiedere un impegno immediato per la modifica del decreto "per difendere la salute delle donne e  per evitare che anche una sola di quelle che ricorrono ad un aborto clandestino debba pensare: ‘Non vado, forse non sto così male, forse mi passerà, cinquemila euro di multa non li posso pagare'".

L'associazione Di.Re – Donne in rete contro la violenza ha accusato il governo di essere intervenuto "in un'ottica non funzionale ed esclusivamente moralistica, ignorando completamente le ragioni per cui la legge 194 comminava una multa simbolica, ovvero permettere alle donne di denunciare i cucchiai d’oro che praticavano aborti fuori dalla struttura pubblica ma,  soprattutto,  permettere loro di andare in ospedale al primo segno di complicazione e salvarsi la vita".

Le donne straniere le più a rischio

Secondo Lisa Canitano, ginecologa presidente di Vitadidonna, che ha aderito all'appello, per quanto riguarda le straniere "si tratta di un vero e proprio caso di incitamento all’aborto clandestino. In Italia  abbiamo il Stp, che significa ‘straniero temporaneamente presente' che permette a tutti, anche privi di documenti, di essere assistiti nelle strutture pubbliche senza essere segnalati, ma questo non riguarda chi proviene da un altro paese europeo, che ha una tessera sanitaria europea valida ovunque nell’Unione. Le donne rumene, però, non hanno questa tessera, perché il loro Governo non gliela fornisce. Di conseguenza non possono usufruire né dell’Stp né dell’assistenza per i cittadini europei". Per metterle in sicurezza è stata prevista la categoria dell’europeo non iscritto e una tessera speciale, Eni. Ma molte regioni non la riconoscono e quindi le donne rumene possono abortire in ospedale pagando 1.200 euro. Risulta dunque ovvio, per la dottoressa Canitano, "che ricorrano piuttosto a un medico privato che pratichi loro l’aborto a meno della metà. E poi se hanno complicazioni, se gli viene la febbre a 40, stanno a casa sperando che gli passi. Anche le donne nigeriane fanno molti aborti clandestini. Fra loro ci sono prostitute cui gli sfruttatori danno i farmaci che inducono l’aborto. Quando stanno male e arrivano in ospedale magari hanno otto compresse abortive in vagina".

Un gruppo di attiviste, giornaliste e blogger femministe ha fatto partire su Twitter un "tweetbombing" di protesta, con l'hashtag #ObiettiamoLaSanzione. L'iniziativa è partita da un blog, dove si chiedono allo stato "risposte adeguate contro gli aborti clandestini e non aumenti di sanzioni economiche. Quindi rivendichiamo la concreta applicazione della 194, nata per salvaguardare la salute delle donne ma ad oggi svuotata di reali tutele a causa dell’obiezione di coscienza". Per Di.Re. invece del decreto incriminato, si sarebbero potute "promuovere campagne di sensibilizzazione e, soprattutto, rendere più accessibile l’aborto farmacologico in regime di day hospital  o possibile  nei consultori familiari e nei poliambulatori – la RU486 viene utilizzata in uno scarso 10% negli ospedali, perché i costi di tre giorni di ricovero, previsti solo nel nostro Paese, sono altissimi".

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