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Disoccupazione, salari bassi e diseguaglianze: la vera situazione del lavoro in Italia

L’aumento dei contratti indeterminati fa pensare a un aumento dell’occupazione. Ma le condizioni di lavoro peggiorano ovunque, nei dati delle Nazioni Unite. E le emergenze sono disoccupazione giovanile e disparità sociali in crescita.
A cura di Michele Azzu
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A seguire il dibattito sui giornali, sembra proprio che sul lavoro l’Italia abbia finalmente imboccato la strada giusta. Stando ai dati dell’Inps, infatti, diminuiscono le richieste di cassa integrazione e crescono i nuovi contratti indeterminati – quelli a tutele crescenti senza l’articolo 18 – che registrano nei primi tre mesi un + 24 per cento, con 470.000 nuovi avviamenti (di cui 150.000 sono stabilizzazioni di contratti a tempo).

“I dati ufficiali Inps sul lavoro ci dicono che la strada da percorrere è ancora lunga, ma la macchina finalmente è ripartita”, scrive Matteo Renzi sulla sua pagina Facebook. In realtà l’occupazione non è cresciuta, secondo l’Istat, e per quanto riguarda il boom di contratti indeterminati viene semplice pensare che molte aziende stessero aspettando da tempo proprio il via del nuovo contratto indeterminato per poter assumere dipendenti, o per regolarizzarne altri.

Pesano forti dubbi sui reali risultati degli interventi sul lavoro del governo. Ad esempio: si tratta di un effetto momentaneo o di reale ripartenza? Davvero i giovani otterranno mutui dalle banche con questi nuovi indeterminati? E quanti sono reali posti di lavoro, e quanti avviamenti che in realtà durano pochi mesi? A queste domande si potrà rispondere solo fra alcuni mesi. Ma ci sono altre questioni sul lavoro che vanno prese in considerazione per capire cosa sta succedendo in Italia, e non solo.

L’International Labour Organization, agenzia dell’Onu, ha rilasciato pochi giorni fa il documento: “World Employement and social Outlook 2015”. Un rapporto sulle condizioni di lavoro nel mondo, e in particolare nell’occidente industrializzato. Cosa dice lo studio? Che la disoccupazione è aumentata esponenzialmente dopo la crisi economica e ancora persiste. Che l’emergenza è la disoccupazione giovanile. Che dopo la crisi economica i salari si sono abbassati, e questa tendenza continua. Su questi dati, inoltre, pesa fortemente la disparità di trattamento sul lavoro delle donne. Che faticano maggiormente a trovare lavoro, che non lo cercano neppure, che accettano il part-time per necessità, e che vengono pagate meno degli uomini.

Insomma, il quadro tracciato dall’ILO, intrecciato coi dati più recenti dell’Istat e dell’Ocse, non lascia dubbi sull’attuale situazione del lavoro nel mondo, e in Italia. Non cambia il fatto che oggi, il lavoro, è pagato meno. E non cambia il fatto che le disparità sociali siano cresciute in maniera esponenziale: chi era povero è oggi molto più povero, chi era ricco oggi è ancora più ricco. Rimane la discriminazione delle donne sul lavoro. Insomma, alla luce di questo quadro, i dati dell’Inps sull’occupazione escono fortemente ridimensionati. E rimane la domanda: in che modo si porrà fine a questo scenario?

DISOCCUPAZIONE. Secondo il rapporto “World Employement and social Outlook 2015” dell’International Labour Organization con la crisi economica si sono persi 1.280 miliardi di stipendi. Una cifra molto vicina a quella del Pil italiano. E mentre sono 201 milioni i posti di lavoro persi finora, l’ILO prospetta che questo numero arriverà a 212 milioni entro il 2019. "Il mondo del lavoro sta cambiando profondamente mentre l'economia globale non crea un numero sufficiente di posti di lavoro", si legge nel rapporto.

ABBASSAMENTO DEI SALARI. 485 miliardi: è la riduzione nei salari che si è registrata nei paesi industrializzati e nell’Unione Europea nel 2013 a causa della crisi economica. Sulle differenze di salario le più colpite rimangono le donne. E in particolare chiunque lavori con un contratto a tempo determinato, o precario: “La remunerazione delle persone con questi tipi di contratto tende a essere inferiore”, scrive l’ILO nel suo rapporto. l’Italia non fa eccezione. Secondo l’Ocse, che ha stilato la classifica degli stipendi medi lordi dei paesi dell’Unione Europea, in Italia la cifra raggiunge a malapena i 29.000 euro, posizionandosi davanti solo a Spagna, Portogallo, Grecia e paesi dell’Est.

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DONNE. Nel 2014 circa il 73 per cento del divario occupazionale mondiale è stato dovuto alla disoccupazione femminile. Nel rapporto dell’ILO si evidenzia una tendenza alla crescita del lavoro part-time fra le donne, specialmente le più giovani. Nella maggior parte dei casi queste donne sono costrette ad accettare un part-time perché non trovano altro, o perché la cura dei bambini non permette loro un lavoro full-time. E in Italia? Il tasso di occupazione delle donne è al 46.8%, e al sud questo numero precipita al 30%. Se prendiamo in esame i giovani fino ai 24 anni, inoltre, il tasso di occupazione scende in maniera inesorabile: al 12.8%, e solo l’8% al sud. Meno di una donna su dieci. Per le madri va molto peggio: secondo l’Istat solo il 22.4 per cento delle madri che avevano un lavoro all’inizio della gravidanza, dichiara di non lavorare più al momento a circa 2 anni dalla nascita del bambino. È sempre l’Istat a dirci che il divario nello stipendio fra uomo e donna è cresciuto al 7.3 per cento nel 2014 (nel 2008 era il 5%).

CONTRATTI TEMPORANEI, PRECARI E PART-TIME. Sempre secono quanto riportato nel “World Employment and Social Outlook 2015” dell’ILO, tre quarti dei lavoratori ha un contratto temporaneo o a breve termine, o lavora senza nessun contratto o in maniera autonoma. Oltre il 60 per cento dell'insieme dei lavoratori non ha un contratto di lavoro. “Spesso questi ruoli sono dovuti a una mancanza di scelta, è una tendenza che esiste nei paesi industrializzati dalla crisi economica”, scrive l’agenzia delle Nazioni Unite. In Italia, attualmente circa l’80 per cento dei nuovi avviamenti lavorativi avviene con un contratto a tempo.

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE. La disoccupazione giovanile in Italia è al 43.1 per cento, in crescita rispetto ai mesi precedenti. La media dell’Unione Europa è del 22 per cento, e peggio di noi fanno solo Spagna e Grecia. È ormai un anno dai primi provvedimenti del governo Renzi contro la disoccupazione giovanile. L'1 maggio 2014, infatti, partiva il programma dell’Unione Europea “Garanzia Giovani” che puntava a dare un impiego ai giovani fino ai 29 anni. Un anno dopo, a leggere i dati del monitoraggio del Ministero del Lavoro, non ci è dato sapere quanti giovani abbiano finalmente trovato un’occupazione. Il rapporto spiega solo che circa 560.000 giovani hanno aderito al programma, e che il 49% per cento di questi è stato “preso a carico”, cioè registrato. La European Court of Auditors (la Corte dei Conti europea), lo scorso marzo, dopo aver effettuato un monitoraggio dei programmi nei vari paesi ha affermato: “Dobbiamo ancora vedere un singolo giovane che abbia trovato lavoro col programma”.

DISPARITÀ SOCIALI. Il rapporto dell’ILO evidenzia il rapporto esistenze tra la disoccupazione, i contratti flessibili e l’abbassamento dei salari, con le crescenti disparità sociali. “Il divario di stipendi fra contratti a tempo e contratti indeterminati è aumentato considerevolmente negli ultimi anni”, scrive l’agenzia. Sulle disparità sociali in Italia è l’Ocse a spiegarci come vanno le cose. Secondo gli utlimi dati rilasciati il reddito del 10 per cento più povero della popolazione è un decimo di quello del 10 per cento più ricco. Secondo l’Ocse il 20 per cento più povero dispone di appena il 7 per cento del reddito nazionale, contro il 39.9 per cento del 20% più ricco. La crisi finanziaria del 2008 ha aumentato maggiormente questo divario. Tra il 2008 e il 2011, sempre secondo l’Ocse, le famiglie italiane hanno perso in media l'1.5 per cento di reddito annuale. I più poveri hanno perso il 3.9 per cento ogni anno, mentre i più ricchi solo lo 0.8 per cento. E queste disparità crescenti, che portano i poveri ad essere più poveri, i ricchi a essere ancora più ricchi, sono una delle cause della mancata cresciata. Che, a sua volta, è la causa prinicpale della disoccupazione fra i giovani.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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