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Guerra in Ucraina

Missile sulla Polonia, perché la colpa è comunque di Putin

L’accanimento nei raid missilistici sull’Ucraina aumenta il rischio di uno scontro globale, mentre il regime di Mosca ideologizza sempre di più la sua politica estera e dimentica il pragmatismo necessario per qualsiasi trattativa.
A cura di Riccardo Amati
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Anche se il missile che ha colpito il territorio della Polonia uccidendo due persone fosse effettivamente di Kyiv, la responsabilità dell’accaduto ricadrebbe in pieno sul Cremlino.

Con il vertice del G20 ancora aperto, Mosca ha snobbato ogni prospettiva di un processo di pace e risposto alla condanna internazionale per la sua guerra di aggressione lanciando i maggiori attacchi missilistici contro l’Ucraina dal giorno dell’invasione.

Un approccio provocatorio che rende sempre più alto il rischio di un allargamento del conflitto e sempre meno chiari gli obiettivi militari e politici perseguiti, allontanando la possibilità di una soluzione diplomatica. Qualsiasi cosa dica chi — dalle nostre parti — preferisce dare del guerrafondaio a Zelensky che a Putin.

Incidente provocato

Sgombriamo subito il campo dall’eventualità che gli ucraini abbiano volontariamente provocato l’incidente di Przewodow per incolpare i russi e cercare l’escalation coinvolgendo la Nato: a Kyiv non sono così scemi da pensare che i rottami dei razzi non sarebbero stati identificati.

Se si tratta di un missile terra-aria del sistema di difesa aerea S-300, è stato evidentemente lanciato in risposta al furioso barrage russo del 15 novembre sulle infrastrutture civili. Un numero di proiettili tale da implicare fisiologicamente il rischio di malfunzionamenti degli armamenti difensivi, compresa la caduta di missili o parti di missili su aree contigue.

Sono stati presi di mira obiettivi fino a 35 chilometri dal confine polacco, ha reso noto lo stesso ministero della Difesa russo. Gli S-300 hanno una gittata di 150 chilometri, poco più o della distanza tra Leopoli e il villaggio colpito. È parecchio probabile che, utilizzato a difesa della città ucraina, uno di essi abbia fallito i bersagli, non sia esploso in aria come dovrebbe e abbia esaurito la sua corsa a Przewodow.

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Vittoria e lacrime

Mentre a Bali il Gruppo dei 20 condannava duramente l’aggressione all’Ucraina e le forze armate russe bombardavano come non mai il Paese vicino, Vladimir Putin se ne stava a casa, alle prese con una delle sue occupazioni preferite: parlare della "Grande guerra patriottica", ovvero la Seconda guerra mondiale.

Durante una videoconferenza con il "Comitato della vittoria" ha ancora una volta giustificato il conflitto ucraino come una continuazione della lotta contro il nazismo. Ha anche conferito il titolo di "Città della gloria militare" a Mariupol, che i suoi soldati hanno appena provveduto a radere al suolo.

Ma a parte i paradossi, la vittoria nella Seconda guerra mondiale per i russi è sacra. “Pobeda so slezami na glazakh”, la chiamano: la vittoria con le lacrime agli occhi. Perché non c’è stata una sola famiglia russa senza lutti, in quel conflitto.

Putin ha attaccato l’Ucraina per avere una "riedizione" della Grande guerra patriottica vinta contro tutto e contro tutti. Contro l’intero Occidente, nella rivisitazione putiniana. Si tratta così di "sacralizzare" il suo regime agli occhi dei cittadini, dicono i critici del nuovo zar. Per conservarsi al potere e far sopravvivere anche dopo di lui il sistema che ha creato.

La fine dell'"opportunismo costruttivo"

La fascinazione per la Storia e la sua riscrittura a fini propagandistici, oltre al desiderio di passare ai posteri come un nuovo Alexander Nevsky o Pietro il Grande, accompagna da tempo Vladimir Putin. Ma la sua Russia fino a poco tempo fa in politica internazionale era pragmatica. Applicava quello che nel palazzo staliniano del ministero degli Esteri chiamavano "opportunismo costruttivo", scegliendosi i compagni di avventura giusti per ottenere obiettivi specifici.

Un atteggiamento tattico, più che strategico. Lo si è visto nella crisi siriana, quando Mosca si era ritagliata l’inedita alleanza con la Turchia, aveva coinvolto l’Iran nella sua campagna militare eppure mantenuto buoni rapporti con Israele — dell’Iran il peggior nemico —, evitando nel contempo di litigare con Washington.

Insomma, anche se le azioni erano improvvise, disinvolte e aggressive, si capiva cosa la Russia volesse, almeno a breve termine. E spesso quel che voleva lo otteneva. È così che Putin ha fatto tornare il proprio Paese al ruolo di grande potenza. Ma durante la preparazione dell’aggressione all’Ucraina e poi a guerra in corso, l’atteggiamento è cambiato: quella che era propaganda per creare sostegno tra la popolazione pare esser diventata l’idea portante della politica del regime.

Contro l’Occidente

Forse i governanti hanno cominciato a credere nelle bugie propinate ai governati? "La costanza e la ripetizione vincono sul buon senso", scriveva Hannah Arendt riguardo all’effetto della propaganda sulle masse.

In Russia lo stesso effetto potrebbero averlo subìto le élite. "La neutralità dell’Ucraina e l’autonomia del Donbass erano risultati ottenibili con strumenti diplomatici che stavamo mettendo a punto", ci disse a Mosca all’indomani dell’attacco militare di febbraio un consulente del Cremlino, lamentando come il Comandante in capo ormai vivesse in una "realtà parallela".

Secondo lo storico Mikhail Suslov, a ispirare il presidente russo nel crearsi questa realtà parallela sono le idee di Alexander Zinoviev: l’intellettuale dissidente sovietico scomparso nel 2006 riteneva che l’Occidente fosse "un impero nemico" che ha sempre "voluto e programmato la catastrofe della Russia, lavorando per la sua distruzione".

E che ogni tipo di "occidentalizzazione" fosse deleteria per il Paese più grande del mondo. L’invasione dell’Ucraina, quindi, "non è che l’audace tentativo di Mosca di liberarsi della sua digressiva sottomissione all’Occidente", nota Suslov su RussiaPost.

Un tentativo di razionalizzazione teorica di quel che Putin ha scatenato negli ultimi mesi. E che cozza ironicamente con le immagini del suo ministro degli Esteri Lavrov in bermuda e maglietta del poco ortodosso artista newyorchese Basquiat, con al polso un Apple Watch e in mano l’ultimo modello di iPhone. Alla faccia del “satanismo” occidentale evocato dalla propaganda. Perché la Russia è anche questo.

Guerra o pace

Meduza, quotidiano online con base a Riga, argomenta che la narrativa politica di Putin, tattiche propagandistiche e flirt ideologici compresi, restano sempre solo strumentali. "Adesso, con la guerra che va male, il regime deve sostenere che tutto procede secondo i piani", scrive su Telegram uno dei capo-redattori di Meduza, Kevin Rothrock.

Quindi, ci si rifà alla lotta contro l’Occidente perché — come la "Grande guerra patriottica" — è "sacra" e giustifica anche le sconfitte in Ucraina. Ma se le necessità di Putin cambiassero, il presidente non esiterebbe a utilizzare supporti ideologici di altro tipo, nota Rothrock. Speriamo che sia così.

C’è chi vede la possibilità di arrivare in tempi brevi a un processo di pace, spiegando i forsennati bombardamenti russi come il picco di violenza che in guerra talvolta prepara il terreno al negoziato. Speriamo che — grazie anche a opportune pressioni da parte della comunità internazionale — Mosca torni al vecchio "opportunismo costruttivo", tenendo conto di come è andata finora sul campo di battaglia e definendo obiettivi limitati ottenibili al tavolo delle trattative. Fatto sta che per ora gli obiettivi sono confusi e illimitati.

Non si vede cosa Putin possa concedere. È impegnato in una lotta esistenziale contro l’Occidente "che vuole distruggere la Russia". Nient’altro sembra contare. E alle prospettive di pace risponde con i missili.

Avete presente gli alieni di "Mars Attack"? Ma questo non è un film demenziale. Soprattutto, non sempre i missili vanno nelle direzioni previste. Stavolta tutti hanno mantenuto i nervi saldi. La prossima, potrebbe avere conseguenze ben più orribili.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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