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Egitto – L’esercito ha poteri di polizia in vista del Referendum: ancora manifestazioni

Le modifiche costituzionali che assegnano al premier Morsi pieni poteri decisionali polarizzano lo scontro in piazza: laici contro islamisti. E se qualcuno credeva che Morsi avesse “ceduto alla democrazia”, una nuova svolta autoritaria smentisce questa speranza.
A cura di Anna Coluccino
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Ancora un'ondata di scontri in Egitto dove, a seguito della decisione del presidente Morsi di auto assegnarsi poteri pressoché illimitati, la protesta non accenna a sfumare. Per oggi le opposizioni hanno indetto un'imponente manifestazione perché il governo avverta sempre di più la pressione della piazza e, magari, scelga di rinunciare al referendum dopo aver rinunciato (almeno all'apparenza) a uno degli articoli più contestati del decreto. Morsi tenta di resistere con forza alla pressione della piazza, ma se i suoi toni conservano una certa attitudine conciliante, le pratiche prescelte raccontano dell'intensificarsi di una deriva dittatoriale che – sebbene agli albori – pare decisa a strutturarsi a prescindere da tutto e tutti. Dopo l'emanazione del decreto con cui si assegnava poteri "faraonici"- infatti – ora sceglie di assegnare poteri di polizia all'esercito in vista del contestatissimo referendum. Il governo, sostenuto principalmente dai Fratelli Mussulmani, fa quindi apparentemente appello al dialogo, alla calma, al rispetto delle rivoluzione, salvo poi – nella pratica – dar vita a fenomeni repressivi che troppo ricordano l'epoca nera di Mubarak.

Le opposizioni resistono, e a poco è servito il discorso alla nazione che, in seguito ai violenti scontri della settimana scorsa, Mohamed Morsi ha deciso di pronunciare per tranquillizzare i manifestanti e convincerli a ritirarsi dalle piazze. Del resto, l'appello cominciava in maniera decisamente poco conciliante. E dopo aver udito parole come: "La minoranza deve accettare il volere della maggioranza" – e specie se si considera che l'elezione di Morsi ha ottenuto a stento il 51% dei consensi – non ci si può meravigliare dell'assenza delle forze d'opposizione al tavolo delle trattative. La piazza – quindi – non si svuota. E non si svuota neppure in seguito della rinuncia di Morsi al contestato decreto.

Infatti, sebbene dopo diciannove giorni, sei morti e oltre cinquecento feriti, Mohamed Morsi abbia realizzato che fosse il caso di ritirare il decreto del 22 novembre, la cancellazione ha riguardato solo l'articolo che assegnava al decreto caratteristiche "incontestabili", (vale a dire l'articolo che blindava le decisioni vergate all'interno del decreto); il resto della normativa verrà semplicemente riformulato senza alcuna concertazione con le opposizioni giacché – al momento – l'unica mano tesa consiste in un'evanescente apertura alla discussione di emendamenti e proposte additive, e anche gli Stati Uniti hanno chiesto all'opposizione di aderire al tavolo delle trattative senza precondizioni.

Per il resto, Morsi procede con il suo piano referendario incurante di quanti gli chiedono di fermarsi e rispettare i percorsi e i processi democratici senza forzarne gli ingranaggi. Il referendum, infatti, si terrà il prossimo quindici dicembre e riguarderà l'approvazione popolare della nuova Costituzione. Approvazione quasi scontata visti i difetti congeniti della democrazia egiziana; democrazia in costruzione che ben altri passi dovrebbe compiere prima di poter utilizzare in maniera seria e non propagandistica l'istituto referendario. Certo, il testo prevede la remota possibilità che prevalgano i "no", ma anche in questo caso il governo sarebbe solo obbligato a riconvocare l'assemblea costituente potendo, di fatto, ricominciare da capo il processo senza alcun vincolo popolare. A questo si aggiunge, poi, l'inquietante assegnazione di poteri di polizia all'esercito, mossa che sembra ispirata dal desiderio di blindare i seggi elettorali (e magari controllarli) impedendo le previste contestazioni. Secondo l'opposizione, il freschissimo ricordo delle leggi marziali di Mubarak e la ferita ancora sanguinante che esiste tra l'esercito e la popolazione potrebbero determinare uno scenario di guerriglia urbana che sarebbe più saggio scongiurare rinunciando al referendum e, in generale, alle modifiche costituzionali di taglio autoritario.

Per la rete, intanto, Morsi diventa un essere tentacolare."Morsi è un polipo", infatti, è stato il tweet più gettonato della giornata, a dimostrazione che è esattamente questa la percezione che una parte degli egiziani ha – oggi – del suo presidente. E a riprova della fondatezza dell'immagine accentratrice conquistata dal neo presidente, vale la pena di ricordare che la cancellazione del contestato articolo non ha modificato le scelte che da esso erano scaturite. Tant'è vero che il procuratore generale contro cui era principalmente volto il decreto presidenziale – Abdel Meguid Mahmud – è stato sostituito da un uomo dei Fratelli Mussilmani: Talaat Abdullah e nessuno ha neppure lontanamente paventato l'ipotesi che l'ex procuratore tornasse al suo posto in seguito allo stralcio dell'articolo che lo riguardava. A questo proposito, il Fronte della Salvezza (che riunisce al suo interno le principale sigle d'opposizione) "denuncia e condanna la campagna atroce contro i media e sostiene i giudici e la magistratura". Su queste basi ha convocato per oggi una grande manifestazione che sapesse "rispondere a Morsi che ha ignorato totalmente la domanda dei manifestanti, contro l'oppressione e il sequestro dello Stato della parte di certe fazioni".

Le notizie in arrivo dal Cairo riguardo la manifestazione raccontano di un folta partecipazione e di un gruppo di protestanti che sembra essere riuscito a oltrepassare uno dei muri composti da blocchi di cemento ed eretti a protezione  del palazzo presidenziale egiziano in vista della manifestazione anti-Morsi.  Gli slogan principali della protesta, cui hanno partecipato migliaia di manifestanti, sono sempre gli stessi da ormai diverse settimane e ribadiscono che "Il regime dei Fratelli musulmani deve cadere", che Morsi deve lasciare e che la rivoluzione non va tradita. Al momento non sembrano esserci vittime – a differenza di quanto accaduto nelle scorse manifestazioni – ma già si contano undici feriti in piazza Tahrir. I ferimenti risalgono all'alba di questa mattina e sono la conseguenza di un vero e proprio assalto da parte di uomini mascherati che hanno preso a sparare pallettoni sulla folla accampata in piazza e a brandire coltelli e bastoni.

La giornata di oggi, però, prevedeva anche la discesa in campo di due cortei per il sì. Si tratta, ovviamente, delle forze islamiste organizzate dai Fratelli Mussulmani per contrastare la protesta delle opposizioni. Le manifestazioni si sono simbolicamente svolte davanti a due moschee nel quartiere di Nasr City, uno modo per dire "Allah è con noi" o, comunque, per offrire una legittimazione superiore alle rivendicazioni dei sostenitori di Morsi.

L'unica cosa certa, al momento, è che quando la politica non è completamente Laica, arrivano i mostri.

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