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Cosa è successo alle elezioni in Iran e perché l’astensione è un regalo ai conservatori

Si è votato lo scorso primo marzo per rinnovare il parlamento iraniano e gli 88 componenti dell’Assemblea degli Esperti che dovranno scegliere il successore della Guida suprema, Ali Khamenei, 84 anni. Molto bassa l’affluenza alle urne.
A cura di Giuseppe Acconcia
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"Ho boicottato i seggi. Si è trattato di uno scontro interno tra conservatori", ci ha spiegato Sorush, un attivista di Tabriz. Si è votato lo scorso venerdì primo marzo per rinnovare il parlamento (Majlis) iraniano e gli 88 componenti dell’Assemblea degli Esperti che dovranno scegliere il successore della Guida suprema, Ali Khamenei, 84 anni.

Una schiacciante vittoria per conservatori e ultraconservatori

I primi risultati diffusi dalle autorità iraniane identificano una schiacciante vittoria dei politici conservatori e ultraconservatori. "Non mi stupisce. Il contesto geopolitico che mette l’Iran in un angolo per il sostegno ai palestinesi favorisce i politici radicali", ha commentato Amir, attivista di Teheran. Questo voto ha segnato quindi una continuità rispetto alla presidenza conservatrice di Ebrahim Raisi, al potere dal 2021, quando l’affluenza alle urne si fermò al 48%. Tra i parlamentari eletti figurano gli ultraconservatori: Mahmoud Nabavian, Hamid Resaee, Amir Hossein Sabeti, Mohammad Bagher Ghalibaf e Mojtaba Zonnour.

Moderati e riformisti hanno visto, ancora una volta, migliaia (12mila in totale) dei loro candidati cancellati dal Consiglio dei Guardiani prima del voto. Tra i non ammessi al voto per l’Assemblea degli Esperti, spicca il nome dell’ex presidente moderato, Hassan Rouhani, in carica dal 2013 al 2021. Tra gli eletti di queste due correnti politiche figurano: Masoud Pezeshkian, eletto a Tabriz, e Ali Motahari.

Il presidente, Ebrahim Raisi, ha rinnovato il suo posto nell’Assemblea degli Esperti ottenendo l’82% delle preferenze nel collegio del Sud Khorasan. Insieme a lui avrà un posto nell’Assemblea anche Ahmad Khatami, imam delle Preghiere del Venerdì, che ha ottenuto il suo seggio a Kerman, e Mohammad Sayydi, eletto nella città santa sciita di Qom.

Una bassa affluenza alle urne

I candidati hanno tempo fino a giovedì per presentare qualsiasi ricorso per eventuali irregolarità. Il ministero dell’Interno ha esteso la chiusura dei seggi per tre volte lo scorso venerdì, fino a mezzanotte, citando file ai seggi nelle ultime ore del voto. Tuttavia, un’altra caratteristica ormai strutturale delle elezioni iraniane è una bassa partecipazione al voto, anche questa volta ferma intorno al 41%, mentre alle parlamentari del 2020 aveva raggiunto il 42%.

Soprattutto la classe media urbana ha boicottato i seggi, con un’affluenza al palo al 24% a Teheran e picchi più alti nelle aree rurali. "Si può parlare di democrazia quando meno di un quarto degli elettori si reca alle urne in alcune città?", ha aggiunto Sorush.

Si trattava delle prime elezioni dopo l’avvio del movimento "Donna, vita, libertà", motivato dall’uccisione della giovane Mahsa Amini da parte della polizia morale il 16 settembre 2022. Le proteste da oltre un anno chiedono la fine del velo obbligatorio e diritti economici e sociali per gli iraniani. "No, non voterò. Queste elezioni sono solo uno show di propaganda e chi partecipa è complice del regime", hanno dichiarato alcuni giovani che hanno promosso il boicottaggio del voto.

"Le attiviste che hanno partecipato ai movimenti anti-regime in massa non sono andate a votare. Negli ultimi mesi anziché diminuire sono aumentati i controlli e gli arresti per l’abbigliamento femminile, ritenuto non conforme alle regole", ci ha spiegato l’attivista di Shiraz, Shirin.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani Hengaw, basata in Norvegia, c’è stato almeno un arresto nella provincia curda di Sanandaj alla vigilia del voto per la richiesta di boicottare le urne. Come se non bastasse, è stato condannato a oltre tre anni di reclusione il cantante, Shervin Hajipour, autore della canzone “Baraye”, inno delle proteste degli scorsi anni. Il cantante aveva vinto un premio Grammy per la migliore canzone per il cambiamento sociale.

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Il voto come "atto di resistenza"

E così se i sostenitori dei movimenti e molti leader riformisti, tra cui l’ex presidente Mohammad Khatami, avevano apertamente chiamato al boicottaggio del voto del primo marzo, i pasdaran si sono affrettati a ringraziare gli iraniani per la loro "gloriosa" partecipazione al voto "per dare una risposta decisiva ai nemici". In un discorso prima del voto, Hamidreza Moghadamfar, consigliere delle Guardie rivoluzionarie (Irgc), ha detto che i "principali sostenitori del massacro di migliaia di donne e bambini a Gaza sono gli stessi che spingono gli iraniani a non
andare a votare e sono i nemici della democrazia".

Anche la Guida suprema, Ali Khamenei, aveva spinto gli iraniani a votare come un "atto di resistenza" contro i nemici. "Le elezioni sono il pilastro della Repubblica islamica", aveva scritto su X alla vigilia del voto Khamenei, spingendo gli elettori a recarsi alle urne anche per manifestare il loro sostegno alla posizione iraniana nel conflitto in corso a Gaza.

Tra geopolitica e inflazione

I raid degli Stati Uniti in Siria e in Iraq dopo l’attacco con droni alla base Usa Torre 22 in Giordania, costato la vita a tre soldati statunitensi, hanno portato a picco la moneta iraniana, in caduta libera già dopo gli attentati dello Stato islamico (Isis) di inizio gennaio 2024 a Kerman.
"Una buona parte di queste persone, a cui non piace il governo al potere in Iran, quando sente le autorità Usa parlare di diritti umani in Iran, non lo accetta", ha spiegato il docente Foad Izadi dell’Università di Teheran.

In particolare, il doppio standard con cui vengono trattati i 30 mila morti palestinesi nella guerra a Gaza da parte delle autorità di molti paesi occidentali viene stigmatizzato anche dai critici del regime degli ayatollah in Iran.

Non sono bastati i roboanti richiami a recarsi alle urne da parte di politici conservatori, gli iraniani in massa, ancora una volta, hanno fatto sentire il loro dissenso verso un sistema post-rivoluzionario che non riesce a riformarsi dall’interno e che trova nella continuità politica che rafforza l’ala conservatrice e ultraconservatrice, vicine alla guida suprema Ali Khamenei, l’unico antidoto possibile alle spinte centrifughe che vorrebbero un cambiamento più radicale della struttura di potere post-khomeinista.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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