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Cos’è l’Ulwaluko, il rito di iniziazione costato la vita a sei adolescenti in Sudafrica

In Sudafrica, ogni anno i ragazzi dell’etnia Xhosa si sottopongono al rito dell’Ulwaluko, la circoncisione realizzata dagli anziani del villaggio, senza alcuna anestesia e con strumenti non sterilizzati. Un rituale di passaggio dalle conseguenze drammatiche: dal 1995, oltre mille adolescenti hanno perso la vita per dimostrare di essere adulti.
A cura di Mirko Bellis
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Ragazzi dell'etnia Xhosa al termine del rituale della circoncisione (Gettyimages)
Ragazzi dell'etnia Xhosa al termine del rituale della circoncisione (Gettyimages)

“Sei un uomo!”, proclama un improvvisato chirurgo dopo aver tagliato con un coltello affilato il prepuzio di un adolescente. “Ndiyindoda!” (“Sono un uomo!”), grida come risposta il giovane. La circoncisione, che segna il passaggio all'età adulta del popolo Xhosa, si è appena conclusa. Un rito iniziatico (Ulwaluko, nella lingua xhosa) a cui si sottopongono tutti i maschi di questo gruppo etnico del Sudafrica. Avvolti in una coperta, con i capelli rasati e la faccia ricoperta di argilla bianca, i ragazzi lasciano il villaggio per andare nelle montagne assieme all'ingcibi, il medico tradizionale che eseguirà l’operazione. Il taglio del prepuzio è solo il culmine della cerimonia: per essere considerati degli uomini, gli adolescenti devono sottomettersi anche ad altre prove. Durante i primi otto giorni, gli iniziati dovranno rimanere dentro capanne improvvisate, in molti casi fatte di plastica, con accesso limitato al cibo e all'acqua. Una volta realizzata la circoncisione, senza anestesia e con strumenti non sterilizzati, i giovani passeranno altre tre settimane isolati da tutti. Alla fine del rituale gli viene data una nuova coperta, simbolo del raggiungimento della maturità, con cui ritorneranno al loro villaggio. La capanna dove hanno passato quasi un mese è data alle fiamme. Il rito iniziatico avviene due volte l’anno, a giugno e dicembre, ed è considerato il momento decisivo per l’ingresso nel mondo adulto.

Per i giovani Xhosa, lasciarsi alle spalle la pubertà, però, non è affatto senza conseguenze. Proprio in questi giorni nella provincia sudafricana del Capo Orientale, sei ragazzi hanno perso la vita e un altro si è suicidato dopo il rituale. A provocarne la morte sono state la disidratazione e le infezioni seguite alla circoncisione. Una mezza dozzina quelli ricoverati in ospedale con febbre alta e i sintomi di una setticemia. Non si tratta di un episodio isolato: dal 1995 sono oltre mille gli adolescenti che non sono sopravvissuti all'Ulwaluko. Molti altri sono rimasti mutilati o addirittura hanno perso per sempre il pene. Come avviene per l’ablazione genitale femminile, a realizzare l'operazione sui maschi è spesso un anziano del villaggio, senza alcuna preparazione medica se non quella tramandata di generazione in generazione. Ma oltre all'evidente problema sanitario ci sono casi in cui bambini di appena 14 anni ricorrono alla circoncisione desiderosi di essere considerati degli adulti. “Se non sei circonciso, la società non ti considererà mai un uomo, sarai sempre un ragazzo”, confessò Athenkosi Mtirara, poco prima di iniziare il rito. Nella comunità Xhosa, i puberi che non hanno ancora completato l’iniziazione sono chiamati inkwenkwe (ragazzo appunto), considerato un insulto pesante, e non potranno partecipare alle attività proprie degli adulti.

“Un gruppo di giovani con le facce bianche sono apparsi all'improvviso in ospedale”, ricorda Dingeman J. Rijkenun, un medico che ha deciso denunciare il modo in cui avvengono le circoncisioni. “Gli occhi scavati dalla disidratazione, la pelle squamosa per la malnutrizione, potevo sentire l'odore della loro carne putrefatta. Ho passato molte ore a pulire le ferite, a inserire cateteri urinari e a cercare di spiegare ad un ragazzo di 17 anni che aveva perso la sua virilità”. Sizwe Kupelo, portavoce del dipartimento della salute del Capo Orientale, accusa delle morti dei giovani questi pseudo medici che, soprattutto nelle zone rurali, non hanno nessuna competenza per realizzare l’operazione. “I ragazzi vengono mandati negli ospedali quando è troppo tardi e l’infezione è in uno stadio avanzato”, ha affermato Kupelo. A preoccupare i medici, però, sono anche altri aspetti del rituale. La plastica che ricopre le capanne, dove i ragazzi trascorrono quasi un mese, non permette la circolazione dell’aria e la temperatura interna aumenta notevolmente perché il fuoco è tenuto sempre acceso. E spesso è proprio la disidratazione ad uccidere i ragazzi.

“Ho sentito come un fuoco sparato nelle vene. Il dolore è stato così forte che ho affondato il mento sul petto”, così ricordava nella sua biografia l’ex presidente Nelson Mandela il giorno in cui subì la circoncisione rituale a 16 anni. E Desmund Tutu, primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo, pur considerando l’Ulwaluko un importante aspetto culturale, ha esortato i leader tradizionali e il dipartimento della salute a coinvolgere medici qualificati per migliorare queste pratiche.

Per cercare di evitare che decine di ragazzi muoiano ogni anno, le autorità sanitarie sudafricane stanno facendo pressioni sui leader tribali Xhosa perché accettino di usare attrezzature sanitarie moderne, o quantomeno coltelli sterilizzati, per realizzare questo antichissimo rito. “Abbiamo cercato di fargli capire che non vogliamo eliminare le loro tradizioni”, ha spiegato Kupelo. “Tutto ciò che vogliamo è l'applicazione delle norme sanitarie per porre fine alle morti”. Anche da un punto di vista legale, dal 2005, una legge nazionale in materia di infanzia (Children’s Act) prevede che la circoncisione non possa essere realizzata sotto i 16 anni, se non per motivi medici o religiosi. E dal 2001, nella provincia del Capo Orientale, è in vigore la proibizione di circoncidere i minori di 18 anni. Ma in Sudafrica la vera sfida è riuscire a conciliare questo rituale di passaggio dei giovani Xhosa con la medicina moderna e prevenire così ogni anno morti inutili.

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