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Covid 19

Fate qualcosa, o l’Italia non uscirà viva da questa crisi

Pil in calo dell’11,2%, 1,2 milioni di disoccupati, un quarto delle famiglie senza soldi, e un terzo delle imprese che non sanno se arriveranno a fine anno. Si dovrebbe parlare solo di questo, in Italia. E si dovrebbe fare di tutto per evitare questi scenari, o almeno per mitigarli. Invece la politica, ancora una volta, finge di non vedere quel che sta arrivando. Finirà malissimo, se va avanti così.
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Se c’è una cosa che noi italiani dovremmo fare già da tempo, e a maggior ragione ora, è smetterla di raccontarci storielle. Di dipingerci alternativamente meglio di come siamo, o più sfigati e incompresi di quanto siamo. E di guardare in faccia alla realtà per quella che è, brutta e brutale che sia. Ecco: oggi la realtà, sotto forma di Eurostat, Ocse, Bankitalia e Istat ci dice nell’ordine che il nostro Pil crollerà dell'11,2%, il peggior crollo di tutta Europa, più di quanto si pensava crollasse. Che, se ci andrà bene e terremo la pandemia sotto controllo, perderemo 1,2 milioni di posti di lavoro entro la fine del 2020. Che 4 italiani su 10 stanno già ora facendo fatica a pagare il mutuo e uno su tre brucerà tutti i suoi risparmi nel giro di tre mesi. Che più di un’azienda su tre rischia di chiudere causa Covid.

Due dettagli, i soliti, per chi non è avvezzo ai numeri. Uno: non abbiamo mai sperimentato un simile crollo dell’economia nella nostra storia di Stato unitario, nemmeno nel terribile quadriennio 2009-2012, quello che comincia con la crisi di Lehman Brothers e finisce con il governo Monti, e mai nemmeno ci siamo andati vicini. Due: quel che stiamo facendo non è sufficiente a evitare, o anche solo a mitigare, il disastro in arrivo.

Certo, ci sono i prestiti garantiti dallo Stato e le moratorie sui mutui. Certo, c’è pure il decreto semplificazione. Certo, ci sono la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti fino a fine anno. Certo,  ci sono i soldi messi a disposizione dal Recovery Fund europeo. Ma no, nulla di tutto questo è minimamente sufficiente a gestire un’emergenza del genere. Per fare una sinistra analogia, è come pensare di bloccare il Coronavirus chiudendo le frontiere ai cinesi e prendendo la temperatura a chi arriva dall’estero. La storia ci ricorda com’è andata a finire.

Non è sufficiente, perché i prestiti garantiti e le moratorie sui mutui sono credito concesso indiscriminatamente a imprese che presto falliranno, e che appesantiranno alternativamente il bilancio statale o quello delle banche, impedendo allo Stato di investire dove serve – scuola e ricerca sopra ogni cosa – e agli istituti di credito di dar benzine alle imprese sane.

Non è sufficiente, perché  la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti per nove milioni di persone – due dei quali non l'hanno nemmeno ricevuta – sono solo un barattolo scalciato poco più in là. Un calcio malriuscito, peraltro, visto che già oggi ci sono 500mila occupati in meno e che per fine anno, ad andar bene ce ne saranno poco meno di tre volte tanto. E che quanto accadrà dopo, a blocco dei licenziamenti finito, è ancora tutto da misurare. Così come è tutto da misurare l’impatto economico di una trentina di cantieri infrastrutturali modello Genova, e quel festival della clientela politica che rischia d’essere l’affidamento diretto degli appalti sotto i 150mila euro.

Non è sufficiente, perché per quanto tu possa stimolare i consumi, se quattro italiani su dieci sono col collo tirato per pagare il mutuo e stanno attingendo ai loro risparmi per sopravvivere, vuol dire difficilmente si metteranno a spendere in bar o ristoranti, alla faccia di tutti i Savonarola della movida. E che se decideranno di fare acquisti li faranno al ribasso, puntando ai discount, all’e-commerce a basso costo, privilegiando quei prodotti di fascia bassa che noi non produciamo più.

Non è sufficiente, e sinceramente non sappiamo nemmeno quanto possano essere sufficienti tutti i soldi che l’Europa mette a disposizione, anche solo per evitare che il nostro Stato vada in tensione di cassa quando comincerà a sentirsi l’effetto del crollo delle entrate tributarie dirette e indirette – 15 miliardi in meno, il 9,3%, nei primi cinque mesi dell’anno – anche se è assurda e stucchevole la polemica di chi rifiuta sdegnosamente gli aiuti, dal basso del nostro PIl in caduta l’ibera e di un debito pubblico già oggi a livelli insostenibili.

Ci permettiamo: di questo si sarebbe dovuto parlare negli Stati Generali promossi dal governo Conte. Di un Paese in emergenza quanto mai lo è stato nella sua Storia. Di tutti i suoi problemi strutturali – dalla giustizia al fisco, dalla burocrazia più anziana e lenta del mondo, alla digitalizzazione che non c’è. – da risolvere a uno a uno, senza indulgenze e senza esitazioni. E invece siamo ancora qua, tra comuni che maledicono lo smart working e sindaci che bloccano la costruzione di antenne 5G, tra governatori che fanno a gara a chi la spara più grossa e ministri che si preoccupano solamente di trovare i soldi per far nascere l’ennesima, nuova Alitalia. E di un’opposizione più capace di offrire bersagli e capri espiatori, che alternative. A costo di ripeterci, fino alla noia: basta chiacchiere, basta tattiche, basta teatrini. Non c’è più tempo.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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