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Opinioni

Crisi del debito, dalle parole ai fatti?

Le autorità Ue paiono pronte a passare all’azione. Con una sia pure tardiva ammissione che il problema non riguarda la liquidità ma la solidità patrimoniale delle banche.
A cura di Luca Spoldi
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George Papandreou

Dopo mesi di chiacchiere siamo forse ad una svolta nella gestione della crisi del debito europea: da un lato, infatti, appare sempre più evidente che la Grecia, che continua a dipendere dagli aiuti della “troika” Ue-Fmi-Bce per non rimanere a secco di liquidità e dover così dichiarare default, sta facendo di tutto per rispettare per quanto possibile gli impegni presi (anche oggi il ministro delle finanze greco, Evangelos Venizelos, ha ribadito  che Atene farà “ciò che deve essere fatto” entro la fine di ottobre e che il governo ha liquidità fino a metà novembre), dall’altro, anche per via dei continui moniti riguardo le conseguenze di un’ulteriore inazione (oggi il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ha ribadito parlando a Bruxelles che la crisi del debito minaccia l’intero sistema finanziario europeo, avendo ormai raggiunto “una dimensione sistemica” e che pertanto va “affrontata con decisione”), va emergendo sempre più chiaramente la volontà di ricapitalizzare le banche del vecchio continente. Che così potranno affrontare senza eccessivi traumi il futuro default di Atene, avendo nel frattempo ripulito per quanto possibile i propri bilanci dei titoli di stato greci e di altri paesi periferici “a rischio” (dato che sembra profilarsi la possibilità di un “haircut”, ossia un taglio dei rimborsi dei capitali sottoscritti, fino anche al 60% del valore nominale dei titoli, contro il 21% concordato ancora lo scorso luglio tra Atene, la troika e le banche creditrici).

I mercati sembrano per ora apprezzare il “meglio tardi che mai”, anche se sullo sfondo resta in verità il problema di fondo (oltre alla necessità di varare misure a favore della crescita economica): chi metterà mano alla tasca, coi governi impegnati a ricondurre la spesa pubblica sotto controllo, le banche che continuano a non fidarsi le une delle altre e i risparmiatori già alle prese con un tendenziale incremento dell’imposizione fiscale e un continuo processo di delevereggiamento che rende difficile ottenere nuove aperture di credito alle banche e l’accumulo di consistenti risparmi alle famiglie? Per ora tuttavia gli investitori preferiscono guardare avanti e accolgono positivamente anche la notizia, confermata, di un nuovo stress test dell'Eba (European banking authority), questa volta con un obiettivo più ambizioso (Core Tier 1 ratio pari almeno al 7% in uno scenario recessivo) in corso di effettuazione e che peraltro sembra potrebbe non essere superato da una cinquantina tra le maggiori banche europee. Una notizia che, assieme alle dichiarazioni di Trichet, rappresenta al tempo stesso un clamoroso autogol in termini di credibilità, visto che finora da più parti si era negato che il problema riguardasse la solidità dei bilanci, ribadendo che piuttosto si trattava (come invece non era) di un problema di liquidità in qualche modo gestibile dalle autorità monetarie, ma anche una (tardiva) presa di coscienza che aveva ragione chi come il neo direttore dell’Fmi Christine Lagarde già invocava oltre un mese fa una simile operazione.

Se come è possibile le indiscrezioni saranno confermate scatterebbe nelle prossime settimane o mesi l’invito a ricapitalizzare (per una cifra che alcuni stimano non inferiore ai 100 miliardi di euro) con le proprie forze o, come si è appena visto nel caso di Dexia, con l’intervento sotto varie forme dei singoli stati europei. Un intervento che probabilmente, come preannunciato nel weekend da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, rientrerà in un più ampio piano di sostegno coordinato al settore creditizio del vecchio continente e che però ad oggi continua a risentire di qualche residua incertezza, ad esempio quelle che circondano il voto di ratifica del rafforzamento del fondo salva stati Efsf, atteso in giornata con una certa trepidazione, da parte del parlamento slovacco, diciassettesimo ed ultimo ad esprimersi dopo il via libera di Malta.

Come reagisce a tutto questo Piazza Affari? Ancora una volta premiando quei titoli già in odore di ricapitalizzazione come UniCredit, ma anche Ubi Banca e Banco Popolare, piuttosto che un “salotto buono” come Mediobanca, da cui sembrano poter passare molti dei “giochi” che sono in corso in questo momento nel settore bancario italiano, stretto tra l’esigenza di rafforzarsi, quella dei garantire il sostegno all’apparato produttivo del paese e la debolezza intrinseca di molte Fondazioni bancarie.  Perde invece quota, oltre alla “solita” Bper (che continua a smaltire gradualmente il rialzo registrato a ridosso dell’ingresso del titolo nell’indice Ftse Mib), il titolo Bpm, che attende l’esito della riunione del 22 ottobre chiamata a nominare il nuovo Consiglio di sorveglianza per il quale si confrontano due liste appoggiate entrambe da una parte dei sindacati interni e che sono interessate rispettivamente all’ingresso del fondo Investindustrial di Andrea Bonomi (la lista degli “Amici della Bpm”) piuttosto che al fondo Sator di Matteo Arpe (la lista sostenuta da Fiba-Cisl e Fabi).

Quanto al mercato obbligazionario, detto di un allentamento delle tensioni sul primario, col collocamento senza eccessivi sforzi e a tassi in calo di 9,5 miliardi di euro di titoli a breve termine registrando un aumento della domanda e rendimenti in calo (nel dettaglio oggi sono stati assegnati 7 miliardi di euro di Bot a 12 mesi con un rendimento medio ponderato del 3,57% rispetto al 4,153% dell’asta di metà settembre e 2,5 miliardi del Bot “flessibile” a 74 giorni, scadenza 27 dicembre 2011, al rendimento dell’1,735%), quello che non pare migliorare molto è la percezione del “rischio Italia”. Infatti dopo le aste lo spread Btp-Bund sui 10 anni risale stabilmente sopra i 350 punti (livello sotto il quale era scivolato ieri), mentre il Cds Italia appare stabile, rispetto ad un leggero peggioramento a fine giornata dei Cds degli altri “periferici” europei.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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