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La convivenza e la casa familiare: natura giuridica ed opponibilità ai terzi

La Cassazione del 11.9.2015 n.17971 ha stabilito che anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l’immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell’immobile o conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all’immobile. Egli, peraltro in virtù dell’affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex art. 2 Cost.) della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell’immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente.
A cura di Paolo Giuliano
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L'assegnazione della casa familiare (cioè della casa adibita a residenza familiare), determina al momento della fine del matrimonio (per separazione o divorzio) ed in presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente auto-sufficienti,  il sorgere di una serie infinita di problemi.

La prima questione è quella relativa all'identificazione della natura giuridica del diritto ad abitare la casa familiare, le ricostruzioni spaziano tra diritto personale di godimento a diritto reale di godimento (le differenti ricostruzioni possono dipendere anche dal fatto che in alcune ipotesi il coniuge assegnatario dell'immobile è già comproprietario – in tutto o in parte – dello stesso, mentre in altre potrebbe non essere proprietario).

Altro problema è quello relativo all'assegnazione della casa familiare quando l'immobile non è di proprietà di nessuno dei coniugi (anche il bene dato in comodato può essere oggetto di assegnazione della casa coniugale). Oppure l'assegnazione limitata solo ad una parte dell'immobile.

Per non parlare della necessità di dover valutare quanto l'assegnazione della casa ad uno dei coniugi incide sull'eventuale assegno di mantenimento.

E dell'obbligo di pagamento delle  spese relative alla gestione dell'immobile assegnato come casa coniugale (es. condominio).

Senza considerare la necessità di accertare l'estinzione del diritto di abitazione e/o la revoca del diritto ad abitare la casa familiare e la conseguente necessità di ottenere il rilascio dell'immobile (quando il rapporto è limitato ai due coniugi si può dire che il titolo che accerta la revoca del diritto ad abitare la casa familiare è anche titolo per la liberazione della stessa anche se non c'è espressa condanna al rilascio, quando, invece, la questione coinvolge un terzo è necessario procedere con un giudizio di accertamento dell'inesistenza del diritto di abitazione).

L'un'altra problematica è quella relativa all'opponibilità ai terzi dell'assegnazione del diritto di abitazione della casa familiare: e sul punto si può ricordare che l'art. 337 sexies c.c. ha previsto che la trascrizione  dell'assegnazione è sempre opponibile al terzo acquirente, la mancata trascrizione dell'assegnazione rende l'assegnazione opponibile nei limiti del novennio dalla data dell'assegnazione.

In presenza di un pignoramento immobiliare si è deciso che l'assegnazione della casa familiare non blocca la procedura esecutiva, ma l'assegnazione è opponibile all'acquirente del bene e al creditore pignorante.

Alcuni di questi principi sono stati codificati dal legislatore nel nuovo art. 337 sexies c.c. che regola l'assegnazione della casa familiare  "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. L'assegnazione o la revoca è opponibile ai terzi ex art. 2643 c.c."

Le stesse problematiche sono ravvisabili in presenza di una famiglia di fatto o della era convivenza more uxorio. Non sussiste una definizione legislativa di famiglia di fatto, ma la convivenza "more uxorio", è stata definita come una formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare. In questa situazione le difficoltà aumentano perché il legislatore regola solo la famiglia tradizionale (basata sul matrimonio).

In parte (almeno per la casa familiare) il legislatore è intervenuto ed ha stabilito con l'art.  337 bis c.c. che la fine della convivenza o del matrimonio sono regolate con le medesime norme (almeno riguardo ai provvedimento relativi ai figli), infatti, l'art. 337 bis c.c. prevede che "in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo"  tra le quali è presente proprio l'art. 337 sexies c.c. relativo all'assegnazione della casa familiare al convivente quando ci sono figli minori o maggiorenni non autosufficienti.

Del resto, non si potevano trattare in modo così differente i figli nati nel matrimonio (assegnazione casa familiare) dai figli nati fuori dal matrimonio, (senza assegnazione casa familiare) quindi, ci deve essere l'assegnazione della casa famiglia anche nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza ‘more uxorio', allorché vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, poiché deve essere data tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere dalla qualificazione dello ‘status" (nato o meno in costanza di matrimonio).

"In tema di famiglia di fatto e nella ipotesi di cessazione della convivenza "more uxorio", l'attribuzione giudiziale del diritto di (continuare ad) abitare nella casa familiare al convivente cui sono affidati i figli minorenni o che conviva con figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti per motivi indipendenti dalla loro volontà è da ritenersi possibile, tale diritto è attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora ne sussistano i presupposti di legge, (…) ed è tale da comprimere temporaneamente, fino al raggiungimento della maggiore età o dell'indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui sia titolare o contitolare l'altro genitore, in vista dell'esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell'habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori. (…).

L'assegnazione della casa familiare è possibile anche quando nessuno dei due conviventi è proprietario dell'immobile. Anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile. Egli, peraltro in virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex art. 2 Cost.) della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente.

La tutela del convivente  contro la perdita del diritto di abitazione: Se l'altro convivente è proprietario l'art. 337 sexies c.c. ammette la trascrizione dell'assegnazione ex art. 2643 c.c. ed in ogni caso  la presenza della convivenza, crea sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente (diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità), che assume i connotati tipici di una detenzione qualificata, (che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare). Ne consegue che l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio.

Se nessuno dei due coniugi è proprietario,

– Il coniuge affidatario di figli minori e assegnatario della casa familiare può opporre al comodante l'esistenza del provvedimento di assegnazione.

– Il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile "per relationem", con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile.

Tali consolidati principi trovano applicazione anche nell'ipotesi in cui l'originario proprietario dell'immobile (terzo o componente della coppia è irrilevante) abbia trasferito la proprietà del bene medesimo, rimanendo immutato e senza soluzione di continuità il vincolo costituito dal comodato preesistente, giustificato da un doppio qualificato titolo detentivo : il primo costituito dalla convivenza di fatto con il proprietario dante causa, il secondo dalla destinazione dell'immobile a casa familiare, prima della alienazione a terzi, e dalla cristallizzazione di tale ulteriore vincolo mediante l'assegnazione della casa familiare.

A tale ultimo riguardo deve osservarsi che non rileva, nella specie, l'anteriorità del trasferimento immobiliare rispetto al provvedimento di assegnazione dell'immobile a casa familiare disposto dal Tribunale dal momento che la qualità di detentore qualificato in capo alla ricorrente è pacificamente preesistente al trasferimento immobiliare così come la indiscussa destinazione dell'immobile a casa familiare impressa anche dal proprietario genitore e convivente con la ricorrente e le minori medesime fino alla suo allontanamento volontario. La relazione con l'immobile, in virtù di tale destinazione non ha natura precaria ma, al contrario, è caratterizzata da un vincolo di scopo che si protrae fino a quando i figli minori o maggiorenni non autosufficienti conservino tale habitat domestico.

Cass., civ. sez. I, del 11 settembre 2015, n. 17971 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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