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Diciotti, perché non torna la versione del Viminale sui terroristi a bordo della nave

Pronta la difesa per il ministro Matteo Salvini: secondo il Viminale a bordo della nave Diciotti c’era la possibilità che ci fossero infiltrazioni terroristiche e/o criminali. Ma se è così perché il Tribunale dei ministri non ne ha tenuto conto? Quali informazioni aveva il ministero e perché se si trattava di pericolosi terroristi li ha spediti in un centro d’accoglienza vicino Roma, a Rocca di Papa?
A cura di Annalisa Cangemi
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Il Viminale prova a giustificare la decisione di non far scendere le 177 persone dal pattugliatore della Guardia costiera italiana, in attesa per giorni lo scorso agosto al porto di Catania. Il ministro degli Interni Matteo Salvini, se Palazzo Madama votasse per l'autorizzazione a procedere, dovrebbe rispondere di sequestro di persona, commesso abusando del suo ruolo di ministro. Ma il suo ministero ha già pronta la difesa: a bordo della nave Diciotti c'era la possibilità che ci fossero infiltrazioni terroristiche e/o criminali. I funzionari del Viminale lo hanno spiegato ai magistrati siciliani, nell'ambito dell'inchiesta che vede indagato il ministro Salvini, "anche se – hanno precisato – la ricostruzione del Tribunale dei Ministri non ne ha tenuto conto". 

Il rischio di infiltrazioni, hanno sottolineato dal Viminale, era stato evidenziato più volte, anche in occasione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblico che si era svolto pochi giorni prima in Calabria. Un caso – che nessuna correlazione ha con la Diciotti – era emerso, per esempio, il 24 giugno 2018: due tunisini sbarcati a Linosa erano risultati già espulsi dall'Italia nel 2015 per orientamenti filo-jihadisti.

Una versione rafforzata anche dallo stesso sottosegretario al ministero degli Interni Nicola Molteni, che ha affermato: "C'è un rischio generale, il fenomeno dell'immigrazione illegale comporta rischi di infiltrazioni di terroristi fondamentalisti islamici, in particolare i cosiddetti foreign fighters. È un rischio che si paventava in quell'occasione e che si paventa ogni volta. Informazioni, evidenze, riscontri che un governo serio deve tenere in considerazione per la sicurezza del Paese" – ha spiegato ai microfoni di Rai Radio 1 – Ora le notizie delle possibilità che a bordo della Diciotti vi potessero essere dei terroristi emergono evidentemente laddove le carte processuali che sono state consegnate al Senato da parte del Tribunale dei Ministri di Catania cominciano ad essere oggetto di analisi in vista della Giunta per le autorizzazioni. Il ministro dell'interno, nel momento in cui ha agito, lo ha fatto nell'esercizio delle proprie funzioni di ministro. Chi oggi processa Salvini processa tutto il governo".

E appunto è proprio questo a far riflettere. Quali informazioni possedeva il Viminale e perché il Tribunale non ne ha tenuto conto? Secondo il sottosegretario questo dato sta emergendo in modo tardivo solo perché l'analisi delle carte è appena iniziata. Ma le allusioni di Molteni annacquano la posizione assunta dal Viminale, perché sembrano riferirsi appunto a un rischio generalizzato, che si manifesta tutte le volte in cui avviene uno sbarco, senza però fornire delle prove per il caso in esame, di cui tra l'altro nessuno parlò in quei giorni di agosto in cui i migranti erano trattenuti sulla nave.

Cosa è successo davvero dopo lo sbarco

I magistrati parlano di "condizioni di assoluto disagio psico-fisico sofferte dai migranti a causa di una situazione di costrizione a bordo", condizione che si sarebbe protratta per cinque giorni; e non per un ‘atto politico' in senso stretto, cioè dettato da ragioni di ‘ordine pubblico' e quindi insindacabile, ma solo per motivazioni politiche, perché il ministro voleva attendere l'esito della riunione che si sarebbe tenuta a livello europeo, dove si sarebbe affrontato il caso Diciotti.

Ma per il Viminale le cose sono andate in un altro modo. Quando i migranti scesero dalla nave, erano in perfetta salute, al punto da potersi permettere di rifiutare, nel giro di pochissimi giorni, l'accoglienza. La maggior parte di loro, sostengono le fonti, lasciò i centri, preferendo frequentare "organizzazioni opache come Baobab" con l'obiettivo di lasciare il Paese e far perdere le proprie tracce, alimentando quindi "la possibilità di essere associati a percorsi criminali".

Ma atteniamoci ai fatti. Quel giorno, era il 26 agosto, i migranti furono mandati all'hotspot di Messina. Tredici migranti erano già stati fatti sbarcare a Lampedusa per ragioni sanitarie. Tre di loro furono ricoverati in ospedale a Catania, due con la tubercolosi e uno con la broncopolmonite. Poi dall'hotspot di Messina (siamo al 28 agosto) in cento partirono in pullman verso il centro di accoglienza ‘Mondo Migliore' di Rocca di Papa, vicino Roma. Altri 39 rimasero nell'hotspot in attesa di essere trasferiti in Albania e Irlanda. Da Rocca di Papa poi sarebbero stati accolti nelle diocesi di Torino, Brescia, Bologna, Agrigento, Cassano allo Jonio, Rossano Calabro. Ma la decisione di mandare i profughi a Rocca di Papa venne presa proprio dal ministro, tanto che il sindaco, Emanuele Crestini, per placare le proteste della popolazione locale preoccupata per le malattie e i disordini che avrebbero potuto portare, disse: "Capisco le preoccupazioni, ma i migranti li ha mandati Salvini, non li ho certo chiamati io".

Ma se erano dei pericolosi terroristi come mai finirono in un centro abitato mettendo a rischio i cittadini? Si tratterebbe quantomeno di un imbarazzante scivolone per la nostra sicurezza, dal momento che circa 50 migranti si allontanarono nei giorni seguenti dalle strutture della Cei e dal centro di Rocca di Papa e altri diciassette decisero di lasciare le diocesi. Circostanza che diede al ministro Salvini l'opportunità di attaccarli, come se questa fosse la prova che si trattasse di malviventi: "Ma come, non li avevo sequestrati? È l'ennesima conferma che non tutti quelli che arrivano in Italia sono scheletrini che scappano dalla guerra e dalla fame". La Caritas li difese: "Si scappa da uno stato di detenzione e non è questo il caso – disse padre Francesco Soddu – nessuno vuole rimanere in Italia. Potranno chiedere asilo in Italia o all'estero ricominciando quella procedura che era stata avviata nelle nostre strutture".

Le indagini della Procura di Palermo si concentrarono solo su quattro scafisti, che furono fermati grazie alle testimonianze dei migranti: si trattava di tre egiziani e un bengalese, che avevano condotto il gommone con i profughi soccorsi il 16 agosto dalla nave Diciotti. Su di loro pendevano pesanti accuse: associazione a delinquere finalizzata alla tratta di uomini, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, violenza sessuale e procurato ingresso illegale in Italia.

La difesa di Matteo Salvini

Sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, avanzata dal Tribunale dei ministri, si sta giocando intanto la tenuta del governo. Domani la Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari del Senato sarà chiamata a valutare la richiesta. Gli alleati Cinque Stelle, che pure avevano detto che avrebbero testimoniato in un eventuale processo per chiarire che la decisione presa sulla nave Diciotti era stata largamente condivisa dal governo, hanno detto di essere intenzionati a votare sì, assecondando la decisione presa dal vicepremier leghista in un primo momento, e cioè quella di andare fino in fondo e farsi processare. Ma questa mattina Salvini ha cambiato totalmente le carte in tavola, sostenendo di non dover essere processato: "Dopo aver riflettuto a lungo su tutta la vicenda, ritengo che l’autorizzazione a procedere debba essere negata". In sostanza, ha spiegato il ministro, ha agito nell'interesse nazionale, cercando prima di verificare la possibilità di un'equa ripartizione dei migranti tra i Paesi dell'Ue. E soprattutto, rientrerebbe nel perimetro del suo ruolo di ministro degli Interni il contrasto all’immigrazione clandestina che, ha sottolineato, è anche riconosciuto dal diritto dell'Unione europea. Pertanto il Senato dovrebbe votare contro l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.

Cosa farà il M5S?

Adesso i Cinque Stelle, spiazzati dall'inversione di marcia improvvisa di Salvini, sono nel caos: questa sera il capo politico del Movimento Luigi Di Maio incontrerà i senatori pentastellati membri della Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato per sciogliere questo nodo. È Emilio Carelli a dare voce a un pensiero diffuso: per il Movimento Cinque Stelle la decisione più coerente sarebbe votare per l'autorizzazione a procedere, ma "quella della Diciotti è stata una decisione collegiale che ha investito tutto il Governo. Credo che Conte e Di Maio dovrebbero autodenunciarsi". Anche perché è lo stesso Danilo Toninelli a fare da scudo al vicepremier leghista: "Io sono come ministro dei Trasporti responsabile della navigazione, fino all'attracco. Salvini è responsabile della sicurezza sulla terraferma. Sulla Diciotti la decisione l'abbiamo presa insieme. Se processano Salvini devono processare anche me e tutto il Governo".

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