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Delitto di Arce, l’omicidio di Serena Mollicone: la ragazza del bosco

Tra rovi e sterpaglie nel bosco di Fonte Cupa, ad Arce, la mattina del 3 giugno 2001 viene trovata morta Serena Mollicone, studentessa di 18 anni. Ha la testa insacchettata in una busta del supermercato, le mani e polsi legati con scotch e fil di ferro. Ci vorranno vent’anni per arrivare alla verità: Serena è stata uccisa nella caserma dei carabinieri e le indagini affidate proprio a coloro che l’avevano assassinata.
A cura di Angela Marino
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Serena Mollicone
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Ad Arce è scomparsa una ragazza di 18 anni. Sui muri e le porte delle strade alberate di quello spicchio di terra tra le colline e il fiume Liri, suo padre Guglielmo Mollicone, maestro elementare, ha incollato il manifesto con la faccia acqua e sapone della sua bambina. Serena ha il sorriso sicuro di chi è indipendente, è abituata a badare a se stessa da quando sua madre è morta lasciandola da sola con il papà. Aveva sei anni. È quasi una donna ora, ma a guardare il suo viso pulito e il suo corpo asciutto nessuno penserebbe che abbia più di 15 anni. Alla sua età la fame di vita può portare lontano da casa, ma non Serena, non una ragazza così determinata e responsabile. Sta scrivendo la tesina per l’esame di maturità, uno studio approfondito sulla follia criminale, fa ricerche, studia, ha un fidanzato, Michele Fioretti e tanti amici.

La scomparsa e il ritrovamento del corpo

È uscita di casa il primo giugno, alle 8, con l’aria frizzante delle mattine alle porte dell’estate, è andata all’ospedale di isola Liri per fare un’ortopanoramica per il suo dentista. Alle 8 e 50 era lì. Conoscenti e amici la vedono in diverse fasi del suo tragitto da casa all’ospedale e dall’ospedale di nuovo ad Arce. Poi le sue tracce si perdono. Nel pomeriggio Serena aveva prenotato il computer della scuola per scrivere la sua tesina, ma salta l’appuntamento. L’incubo per papà Guglielmo dura una notte, poi un’altra ancora, finché i volontari della Protezione civile non trovano Serena.

La scena del crimine

Nel bosco dell’Anitrella, in località Fontana Cupa, legata con un gomito a un albero, c’è una bambola bianca con i piedi e le mani legati con filo di ferro e scotch e la testa insacchettata in una busta di plastica dell’Eurospin. Indossa un paio di scarponcini, un paio di leggins, una maglietta rossa e una felpa. È seminascosta dalle carcasse degli elettrodomestici abbandonati. Quella bambola distesa e confezionata come una mummia è Serena Mollicone, morta a 18 anni per asfissia da soffocamento. È il 3 giugno 2001.

Serena uccisa e ‘incaprettata'

Nella radura verde a due passi dal fiume, arrivano immediatamente carabinieri e giornalisti, che fanno scempio della scena. Accanto al corpo di Serena ci sono i fogli della tesina, ma mancano il cellulare e le chiavi di casa, che non vengono trovati neanche durante l’ispezione a casa Mollicone, eccetto il telefonino, che spunta magicamente nella stanza di Serena dopo la veglia funebre. È il papà della ragazza, spaventato e preoccupato che qualcuno lo abbia piazzato nel cassetto durante la veglia, a consegnarlo nelle mani dei carabinieri di Arce.

Guglielmo Mollicone portato via dai funerali

Dopo la morte di Mauro Iavarone, ucciso a 11 anni nel bosco e ritrovato seminudo – anche lui come un bambolotto abbandonato, anche lui coperto di buste di plastica – l’omicidio di Serena è uno dei fatti più spaventosi della valle del Liri. Ai funerali c’è tutto il paese al seguito di quel padre distrutto e in lutto. Durante la cerimonia religiosa Guglielmo Mollicone viene avvicinato da un carabiniere e condotto in caserma, dove rimane tre lunghissime ore ad aspettare di siglare un documento. Una firma, tutto qui. Una formalità per cui si è pensato bene di prelevare un padre dal funerale di sua figlia, gettando inevitabilmente su quell’uomo l'ombra del sospetto. Il parroco ha la sensibilità di aspettare il suo ritorno per compiere la funzione. Un episodio mostruoso, il momento più buio di questa brutta storia.

Le indagini dei carabinieri di Arce su Carmine Belli

Ad Arce si indaga. All'inchiesta, condotta dai carabinieri di Arce, collabora anche la Squadra ‘Antimostro’, l'unità analisi dei crimini violenti. Nell’officina di un carrozziere viene trovato un talloncino del biglietto del dentista dove Serena era diretta dopo l’ortopanoramica e, in un locale di sua proprietà, un rotolo di scotch marca ‘Gohst’, lo stesso usato per fasciare le gambe e le mani di Serena. Carmine Belli, carrozziere ultratrentenne, sembra incarnare il profilo del molestatore assassino. Belli, ipotizza la Procura, avrebbe condotto Serena nel bosco e a un suo rifiuto di un rapporto sessuale, l’avrebbe uccisa. Il 6 giugno 2003 viene arrestato. Si va a processo e al termine di un dibattimento basato su un castello accusatorio puramente indiziario, Belli viene assolto. Il 31 gennaio 2006, dopo 17 mesi di carcere, torna in libertà.

Ore e ore in mano al mostro: l'autopsia

Serena non ha subìto violenza sessuale e sul suo corpo niente indica un contatto sessuale con il suo aggressore. L’autopsia sul corpo dimostra che è stata tramortita con un colpo alla testa e poi soffocata. Il dato più interessante, però, è che l’omicidio non è avvenuto nel bosco, ma in un luogo chiuso, presumibilmente in un posto dove l’assassino o gli assassini hanno potuto operare con calma il macabro rituale del confezionamento. Solo in un secondo momento il corpo è stato trasportato e fatto trovare nel bosco di Fonte Cupa. Serena è morta lo stesso giorno in cui è sparita, ma c'è un'altra ipotesi. La diciottenne potrebbe essere stata legata prima della morte e tenuta immobilizzata per lungo tempo prima del soffocamento finale. La scioccante teoria prende piede tra i giornalisti della stampa locale e nazionale: "Ore e ore in mano al mostro" titola ‘Ciociaria oggi', ma la verità è che ricostruire quelle ultime ore è difficilissimo.

La morte del brigadiere Santino Tuzi: il testimone

Nel 2008 le indagini virano verso una inaspettata pista, quella che porta alla caserma di Arce, dove Serena sarebbe entrata verso le 11 e mai vista uscire. A testimoniarlo è Santino Tuzi, il brigadiere che era di piantone la mattina del primo giugno. Tuzi riferisce di aver ricevuto attraverso l'interfono, dall'alloggio del comandante Franco Mottola, l'ordine di lasciar entrare la ragazza direttamente nel suo appartamento. Dopo 7 anni e un processo emerge finalmente un altro aspetto della vita di Serena. Pare che la diciottenne frequentasse lo stesso giro di amicizie di Marco Mottola, il figlio del comandante Franco, e che in quel giro circolasse della droga, un traffico che il papà di Serena è convinto che la figlia stesse per denunciare.

Maria Tuzi e le indagini

Ad aprile 2008, a due giorni dall'ultima testimonianza sul caso Mollicone, il brigadiere Santino Tuzi viene trovato cadavere nella sua auto, a due passi dalla diga di Arce. Un colpo al petto dalla sua Beretta d'ordinanza appoggiata accanto al cadavere sul sedile del passeggero. Ufficialmente Tuzi muore suicida per motivi sentimentali, sebbene la figlia Maria dica chiaramente che suo padre mai e poi mai si sarebbe ammazzato. La sua morte è legata alla testimonianza nel delitto di Arce, come paventa Maria Tuzi?

Un'inchiesta archiviata

Anche Anna Rita, la donna per la quale si sarebbe tolto la vita, ammette che da cinque anni ormai Santino evitava di attraversare con l'auto la strada che porta a Fonte Cupa, perché veniva colto da "sudori freddi". Nei mesi precedenti alla morte, Tuzi avrebbe incontrato più volte, lontano dal lavoro, l'appuntato Francesco Suprano, il collega che montò di piantone in caserma, dopo di lui, il pomeriggio della morte di Serena. Segreti, reticenze, ambiguità: le indagini nel caso Mollicone sono come un castello di sabbia che viene giù al primo soffio di vento e va ricostruito più volte.

I sospetti sul fidanzato, un altro errore giudiziario

Questa volta, indagate per omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere sono cinque persone: il maresciallo Franco Mottola, colui che condusse le indagini all'indomani dei fatti; suo figlio Marco, coetaneo di Serena, sua moglie Anna, il fidanzato di Serena, Michele Fioretti e sua madre Rosina Partigianoni. Sugli indumenti che indossava Serena il giorno del delitto, a supporto della tesi della caserma, viene trovato un lichene compatibile con quello che cresce nell'ex carcere di Arce, sul quale numerose segnalazioni anonime a giornali e trasmissioni televisive puntano l'attenzione. Il il 2 giugno del 2010, all'indomani del nono anniversario del delitto, un anonimo scrive alla trasmissione ‘Chi l'ha visto?': “Attenzionate chi aveva le chiavi dell’ex carcere e passaggio pedonale da caserma all’ex carcere".

La pista della caserma di Arce

Lo stesso anonimo scrive alla allora giornalista de ‘La Provincia', Angela Nicoletti, e al procuratore di Cassino, Mario Mercone, per esporre la sua ricostruzione dei fatti:

Serena potrebbe essersi liberata una prima volta dalla legatura fatta solo di nastro adesivo, forse sfregando sul cemento e per non correre rischi l’assassino ha rinforzato le legature con il fil di ferro. […] Si alza e prova a scappare ma viene fermata e la legatura rinforzata. Tutto ciò potrebbe essere accaduto nell’ex carcere di Arce […]L’assassino potrebbe aver tenuto legato Serena per ore in attesa di decidere cosa fare.

Il caso archiviato. Di nuovo

Una ricostruzione puntuale e credibile che arriva da qualcuno che ha studiato il caso, ma che – precisa nella missiva – non è un membro delle forze dell'ordine. C'è chi ci tiene a non essere accostato ai carabinieri in un caso paradossale in cui cui gli investigatori sono sospettati di assassinio e depistaggio. Una storia che, probabilmente, verrà chiusa in archivio senza una soluzione, sigillata come lo scotch che ha fasciato le caviglie e i polsi di Serena. Quello scotch marca Ghost che Carmine Belli aveva in uno dei suoi locali  ma che avrebbe utilizzato anche un lavorante del carrozziere – come racconto il brigadiere Tuzi a un amico – per imballare dei mobili in un trasloco. Sempre negli stessi racconti, quel trasloco avrebbe riguardato proprio l'alloggio del comandante della caserma di Arce.

Delitto di Arce 20 anni dopo: il processo ai Mottola

Nel 2020, quasi vent'anni dopo i fatti, vengono finalmente rinviate a giudizio 5 persone. Franco Mottola, sua moglie, suo figlio e due militari in servizio quel giorno vengono accusato di omicidio in concorso. Guglielmo Mollicone è morto il 31 maggio 2020 dopo due mesi di coma per le conseguenze di un infarto. Non ha fatto in tempo a veder celebrato il processo sulla morte di sua figlia.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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