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Ddl intercettazioni e norma anti blog, i limiti di un testo controverso

Il disegno di legge del Governo sulle intercettazioni va a modificare anche gran parte della disciplina in materia di stampa e contenuti informativi. Un calderone di modifiche respinto dalle opposizioni, ma anche da molti esponenti della maggioranza e del Governo, soprattutto nella parte riguardante la cosiddetta norma anti blog.
A cura di Antonio Palma
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La discussione del ddl intercettazioni al Senato

L’ormai famigerato disegno di Legge sulle intercettazioni sta diventando sempre di più terreno di accese discussioni all’interno del mondo politico ma, ovviamente, anche del mondo della stampa e dei media in generale. I dibattiti e le critiche attorno a questo provvedimento legislativo si susseguono da mesi e vedono contrapposti anche politici della stessa coalizione e addirittura Ministri del Governo.

Oltre al capitolo intercettazioni, tanto caro al Premier, a far discutere è soprattutto il comma 29 del ddl voluto dall’Esecutivo, che va a modificare la legge n.47 dell’8 febbraio 1948, cioè la legge approvata dall’Assemblea Costituente per legiferare in materia di stampa e le sue successive modifiche. In particolar modo la legge va a modificare l’art.8, quello relativo alle risposte e rettifiche dei soggetti che si sentono lesi dai contenuti apparsi sui mezzi di informazione.

Il ddl iniziale approvato alla Camera, è stato modificato in maniera sostanziale al Senato il 10 giugno del 2010 ed ora dovrebbe essere nuovamente esaminato per l’approvazione definitiva della Camera. Il giorno ufficiale ancora non è stato stabilito a causa dell’ingolfamento del Parlamento, con parecchi provvedimenti ancora da esaminare, se ne riparlerà forse la prossima settimana. La battaglia sulla rete però è già iniziata, perché il disegno di legge oltre alle norme in materia di pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, si occupa anche di disciplinare i contenuti dei siti web senza fare alcuna distinzione tra quotidiani online e semplici blog.

Il comma 29, oltre a richiamare il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici per disciplinare le rettifiche su radio e televisioni, nella seconda parte spiega:

“Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.

E’ evidente che una simile formulazione, sebbene valida per i quotidiani e periodici online, potrebbe mettere in seria difficoltà altri tipi di canali informativi come i blog, non aggiornati periodicamente, e che non hanno risorse per monitorare costantemente la situazione. La cosa si aggrava se si pensa che con queste modifiche tutti i responsabili di siti sono soggetti, in caso di non ottemperanza all'obbligo di rettifica, ad una pesante sanzione che può arrivare fino a 12000 euro, prevista ora solo per i mezzi di informazione.

Il problema, nonostante la norma in se non sembri avere un carattere "insensatamente censorio", è proprio la dicitura ‘siti informatici’ che, quindi, raggruppa pressoché l’intero universo della rete, senza nessun tipo di distinzione. Il ddl così come è stato licenziato dalla Commissione Giustizia, ha evidentemente ancora molti punti oscuri, nel calderone delle modifiche sono rientrati provvedimenti piuttosto diversi tra loro e che disciplinano mezzi e modalità di informazione estremamente differenti. Anche per questo motivo le contrapposizioni politiche sono trasversali alle linee partitiche. Lo stesso Guardasigilli Palma discutendo del provvedimento parla di “alcune cose assolutamente condivisibili e altre che personalmente non mi trovano d'accordo”, così come non sembra d’accordo il Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, che si augura vengano prese “iniziative parlamentari volte a modificare una norma che, così com'è, rischia di creare molti problemi”.

Sicuramente a scagliarsi contro il provvedimento sono le opposizioni e in primis chi della rete ha fatto uno slogan politico come Di Pietro, che parla senza mezze termini di “un insulto alla libertà e alla democrazia” e di “una misura fascista”. Sulla stessa onda anche gli uomini del suo partito, Donati, capogruppo alla Camera dell’Idv ha detto “mettere il bavaglio per salvare le apparenze e impedire che si scoprano scandali, reati e comportamenti vergognosi è solo un atto illiberale di un governo finito”, ma di “norma liberticida” parlano un po’ tutti i politici delle opposizioni che vedono nel provvedimento il doppio scopo di eliminare le odiate intercettazioni del Premier e il tentativo di controllare il web.

Per eludere almeno alcune delle critiche ed in particolare quelle sul bavaglio alla rete, nella maggioranza è allo studio un ritorno al disegno di legge dell’ex Ministro Mastella, che sebbene non legiferi sui siti informatici è ben più severo in termini di possibilità di pubblicazione delle intercettazioni. Si capisce che l’obiettivo primario del Governo è quello delle intercettazioni e che modifiche per rendere più blande le restrizioni alla rete non saranno un grosso problema. Lo stesso deputato Pdl Roberto Cassinelli ha già in programma alcuni emendamenti in tal senso.

Lo stesso Pd, però, che all’epoca approvò il disegno Mastella, poi affossato al Senato, ha fatto sapere di non avere nessun margine di accordo sul quel vecchio provvedimento. In realtà se non fosse per le urgenze del Premier si potrebbe sicuramente arrivare ad un compromesso accettabile e serio sulle intercettazioni senza toccare nient’altro, ma come ha ricordato il Ministro Palma “il momento attuale non consente alla politica di valutare con la giusta serenità la questione”.

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