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Un secolo fa nasceva Fernanda Pivano: chiamò Bob Dylan “poeta” 50 anni prima del Nobel

Ernest Hemingway, William Faulkner e Jack Kerouac, ma non solo: l’America di Fernanda Pivano era anche il folk che lei per prima chiamò “poesia”. Un secolo fa nasceva la donna che ci fece conoscere tutto questo.
A cura di Federica D'Alfonso
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Fernanda Pivano (1917-2009)
Fernanda Pivano (1917-2009)

Il 18 luglio del 1917, nella stessa Genova di De André, nasce Fernanda Pivano. Una vita trascorsa fra India, Africa, Cina e Stati Uniti alla perenne ricerca di ciò che in ogni latitudine e ad ogni altezza rende l’uomo uguale agli altri uomini: la poesia, in ogni forma essa si presenti. Fernanda Pivano è stata la prima a portare l’America agli italiani, la prima a conoscere ed apprezzare ciò che quella cultura poteva significare; la prima in assoluto a parlare di musica come un’altra forma di poesia.

Le due Americhe della Pivano

L’America della Pivano ha due facce, separate dal secondo conflitto mondiale e dalla complessità della sua stessa cultura. La sua America è un’idea che attraversa quasi un secolo di storia, e che dalle pagine di amore e guerra di Hemingway evolve e cambia grazie al viaggio immaginifico raccontato da Kerouac.

L’America la Pivano se la porta dentro fin da bambina da quando il suo professore di letteratura, un tale Cesare Pavese, gli regala alcuni libri che la segneranno per sempre: Fernanda leggerà così “Addio alle armi” di Erenst Hemingway, “Foglie d’erba” di Withman e “L’antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Un mondo unico, che la giovane Fernanda ama fin da subito tanto da rischiare la galera: in epoca fascista infatti si accinge a stendere la sua prima traduzione del romanzo di Hemingway, vietato dal regime.

Si dovrà attendere fino al 1949 per la pubblicazione del libro, in un’epoca in cui le cose, dall’altra parte dell’Oceano, stanno già cambiando. Da lì a poco Fernanda Pivano s’innamorerà e farà innamorare a sua volta l’Italia di una nuova generazione di poeti e scrittori che solevano definirsi “Beat”: è grazie al suo importante lavoro non solo di traduzione, ma di vero e proprio ponte con quella cultura, che oggi leggiamo e comprendiamo un po’ meglio uomini come Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs, Gregory Corso e, anni dopo, Charles Bukowski.

Grazie a opere fondamentali come “C'era una volta un beat. 10 anni di ricerca alternativa”, “L'altra America negli anni Sessanta” e “Charles Bukowski. Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle”, la Pivano dà letteralmente in pasto ai giovani italiani quella cultura tanto lontana che lei stessa contribuisce a diffondere e ad avvicinare.

Bob Dylan poeta, 50 anni prima del Nobel

Fernanda Pivano fu la prima a definire cantautori come De André e Bob Dylan i veri poeti del nostro tempo: su quest’ultimo, nel 1966, scrive un lungimirante articolo che tocca alcune delle questioni fondamentali seguite, esattamente cinquant’anni dopo, all’assegnazione del Nobel al menestrello di Duluth.

Fernanda Pivano aveva conosciuto Dylan in un ristorante giapponese qualche mese prima, e con l’acutezza fuori dal comune che le era propria aveva tratteggiato i contorni di un’arte musicale unica, capace di trascendere il suono e arrivando dritta al cuore della parola. Una poesia “definitiva” accompagnata dalle note, rappresentativa di quel “secolo americano” che lei stessa aveva contribuito a raccontare attraverso le pagine più belle della letteratura.

La poesia, tenta di dire la Pivano in quell’articolo che venne addirittura rifiutato da alcune testate giornalistiche, non è tale solo perché parla di drammi, speranze e desideri disattesi: è poesia soprattutto quando propone un’alternativa, quando “rinfranca dal dolore”, e quando è capace di rispondere a delle domande.

Noi non possiamo più sentirci dire cose come "Fratelli d'Italia, con l'elmo di Scipio…"; possiamo sentir dire "Sparagli, Piero, sparagli adesso"…, possiamo sentire queste meravigliose rime di Fabrizio, e anche di Dylan, che sono rime allo stato puro, con delle assonanze, a volte, che sono ancora più patetiche e più emozionanti che delle vere e proprie rime.

I diari di viaggio

Dopo cento anni dalla sua nascita, resta ancora tanto da dire su Fernanda Pivano e le sue avventure, i suoi viaggi e le sue parole. Dopo “Viaggio americano” e i bellissimi “Diari”, Bompiani ha scelto di pubblicare un altro volume, atteso per il prossimo autunno, dal titolo “Il racconto lo racconti tu. Diari di viaggio (1969-1979)”.

Le pagine, del tutto inedite, ruotano attorno ai viaggi che la Pivano intraprese dal Giappone all’India, dalla Tunisia agli Stati Uniti, utilizzando l’enorme mole di scritti ancora inediti e componendo un altro, importantissimo pezzo del mosaico di ciò che la Pivano è stata per la cultura italiana e mondiale.

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