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Dialetti d'Italia

Il dialetto milanese non dice “ti amo”: ecco perché

Il dialetto milanese non conosce un modo per dire “ti amo”. L’espressione, assente del resto nella maggior parte dei dialetti d’Italia, viene sostituita da un più freddo e semplice “te voeuri ben”: ma perché?
A cura di Federica D'Alfonso
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Perché il dialetto milanese non dice "ti amo"?
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È possibile tradurre il “ti amo” in tutte le lingue del mondo, ma non in dialetto: il milanese, ad esempio, non prevede questa espressione nel proprio vocabolario e questo non perché, a dispetto di facili ironie, l’uomo settentrionale non sia capace di provare un sentimento così potente. È anzi di una caratteristica propria di quasi tutti i dialetti d’Italia, da Nord a Sud, quella di non prevedere nelle proprie parlate regionali una parola che traduca il ti amo: questa non esiste e, se la si usa, è una forzatura.

Lingue straniere e dialetto: amare indistintamente

È risaputo come molte lingue straniere non distinguano fra il “ti amo” e il “ti voglio bene”: l’inglese utilizza indistintamente “I love you”, pur ammettendo alcune perifrasi come “I care for you” e “I feel for you” per tradurre il significato del nostro “ti voglio bene” e riservando al contrario l’uso dell’espressione “to be in love with you” soltanto all’amore romantico di coppia. Stessa cosa fanno gli spagnoli, per i quali “querer” può essere usato indistintamente per l’amore e per l’affetto, i tedeschi, con il duro ma altrettanto dolce “ich liebe dich”, e i francesi, con l’irresistibile “je t’aime”.

L’italiano, invece, distingue molto bene i due diversi tipi di affetto che si possono provare nei confronti di una persona: si può dire ti amo alla propria fidanzata, e riservare il ti voglio bene ai propri genitori o ai figli. Una distinzione che però, a quanto pare, manca nel dialetto: il milanese nelle sue numerose varianti locali, usa il “te voeuri ben” anche per esprimere un sentimento più appassionato e profondo del semplice affetto.

Dal milanese al napoletano: perché non si dice “ti amo”?

Manca insomma un’espressione letterale che sia direttamente riconducibile al “ti amo” italiano. Caratteristica, questa, propria di moltissimi dialetti della penisola: dal Ticino dove si usa un semplice “ta vöri ben” fino alla Sardegna, dove nel sud è diffusissima l’espressione “ti bollu beni” anche  per la propria fidanzata. Stesso discorso per il bolognese, che dice “vlair bän”, e per il dialetto dell’amore per eccellenza, il napoletano: in questo caso esiste il sostantivo “ammore”, con il raddoppiamento della consonante, esiste il celebre “te voglio bbene assaje” reso famoso dalla grande canzone napoletana e il “me song ‘nnammurato e te”, ma il “ti amo” dialettale non è conosciuto neanche qui.

Ma perché? Che il dialetto, comunemente inteso come una lingua più “povera” rispetto all’italiano, non riesca a trovare le parole per esprimere la peculiarità di un sentimento tanto intenso? Tutt’altro: è molto più probabile che la differenziazione tra il “ti amo” e il “ti voglio bene” fosse presente soltanto nel volgare fiorentino, la lingua che Dante scelse per scrivere la sua Divina Commedia, e da lì attraverso la letteratura sia arrivata nella nostra lingua comune. L’italiano, dopotutto, è una delle pochissime lingue al mondo che fa questa differenza, sconosciuta anche ai tempi dei latini, per quanto ne sappiamo.

 

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