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Giuliano Da Empoli: “Racconto come Putin è salito al potere affascinando la Russia e il mondo”

Giuliano Da Empoli ha raccontato l’ascesa di Valdimir Putin raccontandola dal punto di vista del suo spin doctor e della sua corte nell’ultimo libro “Il mago del Cremlino”.
A cura di Francesco Raiola
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Vladimir Putin (Adam Berry/Getty Images)
Vladimir Putin (Adam Berry/Getty Images)

Ispirato da Maugham, Conrad e Vargas Llosa, Giuliano Da Empoli ha scritto un romanzo sulla Russia che è quasi una sorta di analisi socio politica di quello che è stato il regno di Putin, analizzandolo con gli occhi del suo spin doctor, quel Surkin che nel romanzo diventa Baranov. Pubblicato da Mondadori, "Il mago del Cremlino" è uscito prima in Francia e qualche mese dopo in Italia, e dentro vi si trova un'analisi del passaggio dall'Unione Sovietica alla Russia di Putin, analizzata attraverso una serie di episodi che Da Empoli unisce come puntini, mescolando realtà e finzione narrativa soprattutto nella ricostruzione di dialoghi, situazioni, pensieri che hanno portato a una svolta sempre più autoritaria. Quello dello scrittore e docente di politica comparata a Sciences-po a Parigi è anche l'analisi del sistema di potere russo e il racconto dell'ascesa al potere di un uomo che era visto come manipolabile, ma che si è dimostrato, al contrario, un notevole manipolatore.

Quando nasce l'idea di raccontare la storia di Surkov/Baranov?

Ho scoperto l'esistenza di Surkov intorno al 2017 mentre stavo facendo un po' di ricerche per il mio libro precedente, un saggio che si chiama "Gli ingegneri del Caos" e che era prendeva in considerazione una serie di profili di nuovi propagandisti nazional-populisti di vario tipo. A un certo punto mi sono imbattuto in questo personaggio che avevo anche pensato di includere in quella galleria e invece me lo sono tenuto, mi sembrava una figura così romanzesca che richiedeva un trattamento un po' diverso. In più si è incrociato con un progetto di romanzo che era legato alla Russia, che avevo in mente da tanto tempo, prima anche del saggio di cui le parlavo, ma che non riuscivo a scrivere.

Si vede che la finzione è strettamente legata a una ricerca e a un'analisi da saggio, ci racconta il limite tra realtà e fantasia?

Ho lavorato molto intorno a questo personaggio, dopo di che il Baranov del romanzo è un personaggio di sintesi. Tutti gli eventi storici raccontati nel libro sono reali, non tutti, però, sono stati compiuti da Surkov: il mio Baranov è un super spin doctor del Cremlino che include molte cose fatte da Surkov, ma ne include anche altre che invece non ha fatto lui, penso per esempio alla cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Sochi. Diciamo che la regola è che tutti i fatti sono reali e che ovviamente i personaggi che portano il loro nome, quindi anche quelli dell'entourage di Putin, sono reali, mentre tutta da parte personale del protagonista è completamente inventata, inclusa un po' la storia famigliare del protagonista, anche perché Surkov ha una storia diversa.

Insomma, il suo è un saggio che però si prende la libertà del romanzo?

Esatto, ma anche lì sono due cose che si incrociano, da una parte c'è un lavoro di ricerca piuttosto approfondito sul sistema russo e la sua storia, sul funzionamento della nomenklatura, prima sovietica e poi delle élite attuali, quindi ho condotto la ricerca come se si trattasse di scriverci su un saggio e in effetti ha richiesto molta documentazione, un po' di viaggi e anche una serie di colloqui anche con delle persone. È stata una ricerca di tipo giornalistico-saggistico, da un certo punto di vista. Questo si incrocia un po' anche con la mia idea che alcune dinamiche del potere siano un po' le stesse in tutti contesti, che le pulsioni legate al potere, i suoi meccanismi come quello della Corte, siano un po' fuori dal tempo, nel senso che si riproducono un po' in tutti i luoghi, in tutte le epoche, mentre a cambiare sono i limiti che vengono messi a queste pulsioni: ci sono dei sistemi che limitano di più le pulsioni del potere, altre che gli danno più spazio, come quello russo che lascia le mani più libere. Questo è un libro sulla Russia però è anche un libro sulle dinamiche del potere, sull'effetto che il potere fa alle persone.

A sx Giuliano Da Empoli (ph Claudio Sforza), a dx la copertina del libro
A sx Giuliano Da Empoli (ph Claudio Sforza), a dx la copertina del libro

È anche un libro su due sistemi economici, con tutte le difficoltà che ha entrare nella stanza dei bottoni russi all'interno del quale, sappiamo, è complesso muoversi. Come è riuscito a raccontare questo aspetto andando oltre quello che possiamo immaginare guardando gli avvenimenti?

C'è una frase di Carl Schmidt che dice che il difetto del vincitore è la mancanza di curiosità per il perdente. E io credo che questa mancanza di curiosità effettivamente sia un po' un nostro difetto, essendoci considerati vincitori per molto tempo – adesso forse un pochino di meno. Soprattutto dopo l'89, però, abbiamo considerato il nostro sistema come quello vincente e abbiamo avuto poca curiosità per la prospettiva degli altri. Io su questo ho provato in effetti un po' a tornarci andando in Russia, parlando con loro e studiando: non parlo russo però ci sono, leggendo in inglese o in altre lingue, grandi cose scritte da giornalisti o osservatori russi stessi. Poi ancora una volta c'è il salto immaginativo nel mettersi in quelle stanze e provare a immaginare come possa funzionare quella macchina.

Sceglie un narratore interno che spesso anticipa al lettore quello che succederà. Quali sono gli scrittori che l'hanno ispirata?

Sono così tante le fonti di ispirazione che diventa un po' difficile identificarne una ma, appunto, in termini di narrazione, ci sono per esempio dei racconti di Maugham, nelle isole, un po' ispirati a Conrad, che mi piacciono molto. Si svolgono nel sudest asiatico e c'è un narratore, che è in genere l'autore, che incontra un personaggio che poi inizia a raccontarsi, a raccontare la sua storia prendendo il sopravvento.

A un certo punto paragona l’esperienza del potere putiniano al Riccardo III di Shakespeare. C'è qualche altro libro che rappresenta bene quello che descrive nel libro?

C'è un testo non narrativo di un grande scrittore, Elias Canetti, "Massa e potere" in cui l'autore identifica la caratteristica principale dell'uomo di potere nel desiderio di sopravvivere a tutti e, estremizzando, tutto sommato questa cosa porta al desiderio di uccidere tutti, perché la garanzia principale di chi vuole sopravvivere a tutti è uccidere non soltanto i nemici ma anche i suoi amici e quindi ergersi, alla fine, in un cimitero. Questa è in qualche modo è l'immagine che lascio di Putin alla fine di questa parabola del suo incontro con Baranov. Per me Putin rappresenta l'uomo di potere di Elias Canetti portato al suo parossismo.

Mi ero segnato la frase: "L'unica cosa che può garantirgli la sopravvivenza è che tutti gli altri intorno a lui muoiano. L'unico trono che gli darà la pace è la morte".

Quella per me è un po' la conclusione della parabola di Putin, per me è stata una chiave abbastanza importante nel costruire un po' la sua vicenda. Dopodiché è chiaro che ci sono tutta una serie di altri riferimenti possibili.

Quali sono stati, secondo lei, gli aspetti di Putin e della sua Russia che hanno affascinato maggiormente all'estero?

Credo che ci sia questo tema, sul quale mi soffermo fin dall'inizio, della verticalità in un'era di orizzontalità che aveva in modo caotico anche investito la Russia negli anni '90. Il ripristino di una dimensione verticale, quindi di una figura autoritaria molto forte, che non vacilla, che ristabilisce l'ordine. Credo che questa cosa, sui russi, sia stata certamente decisiva e credo anche al di là della Russia visto che uno dei nostri problemi, oggi, è la difficoltà nell'esercitare il potere, l'autorità etc. Penso che su un certo tipo di personalità, di persone, di pubblico, questo possa aver avuto un'influenza importante. Poi penso che sia stato anche questo suo collocarsi in una dimensione storica di lungo periodo e la sua capacità di cogliere le occasioni giuste per agire e per accrescere la sua influenza sono fattori che hanno giocato un ruolo importante. Ovvio che questi sono i motivi di fascino abbastanza tradizionali dell'autocrazia, in questo non molto diversi anche da altri casi, però con una durata e forse anche con una personalità che hanno potuto esercitare questo fascino per un certo tipo di pubblico.

Insomma, la solita ciclica voglia dell'uomo forte che risolve i problemi?

Sì, con tutto questo suo ergersi a difensore dei valori più tradizionali contro quella che i russi da moltissimi anni chiamano "gayropa", l'Europa arcobaleno, traviata nei suoi valori. È chiaro che poi anche questo su un pubblico diciamo più ideologicamente collocato in una certa area ha avuto un suo peso. Ecco, con quest'aura un po' oscura di chi riesce a manipolare è riuscito a dare la sensazione di essere un po' il burattinaio occulto e il manipolatore di tutta una serie di vicende, a partire ovviamente dalle elezioni americane.

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