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Giornata della Memoria, lo storico Barberis: “Finché leggeremo Primo Levi, ci salveremo anche noi”

“Finché leggeremo Primo Levi, ci salveremo anche noi”, ha detto a Fanpage lo storico Walter Barberis intervistato in occasione del Giorno della Memoria che ricorre ogni anno il 27 gennaio e serve a commemorare le vittime della Shoah.
A cura di Cristina Somma
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In occasione della Giornata della Memoria che ricorre ogni anno il 27 gennaio per ricordare le vittime della Shoah, lo storico Walter Barberis ha spiegato a Fanpage.it l'importanza della memoria affinché non si ripetano le barbarie messe in atto dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Tematica molto sentita e già espressa in un suo libro intitolato "Storia senza perdono", edito da Einaudi.

Recentemente Liliana Segre ha sostenuto che del genocidio degli ebrei ormai non interessa quasi più a nessuno, c'è un'effettiva tendenza all'oblìo e tra qualche anno, di questa vicenda, rimarrà solo qualche riga nei libri di storia. Lei cosa ne pensa?

Sono d'accordo a metà. Nel senso che oggi c'è un'indifferenza diffusa, un'attitudine non solo a non ricordare, ma a non prendersi alcuna responsabilità su argomenti che abbiano un peso storico come questo, e che siano una lezione per l'avvenire. C'è una diseducazione degli adulti molto diffusa, che però è minore nei ragazzi. Quello che vedo oggi nelle scuole ai miei tempi non lo vedevo, oggi infatti questa tematica è molto diffusa. Si parla di Anna Frank, di Primo Levi, di testimoni che hanno restituito una memoria storica, si parla del fatto che il nazionalismo sia uno dei motori che portano a quelle spiagge e quella deriva. Credo che i giovani abbiano il diritto e il dovere di essere educati alla democrazia, perché è questo il tema di cui parliamo. Se non si educa alla democrazia, al rispetto, all'antirazzismo, alla cultura e tutto viene lasciato all'improvvisazione, corriamo dei rischi molto seri. La scuola è un terreno fondamentale.

Com'è cambiata la memoria storica nel tempo e quanto è stata mossa dall'emotività delle testimonianze?

Su questo argomento nei primi anni del dopoguerra c'era un grande silenzio che è durato fino alla metà degli anni '60. I sopravvissuti, che a quei tempi non erano ancora testimoni, erano reticenti a parlare della loro esperienza. Sia per una sorta di indifferenza generale, sia per il trauma personale che induceva a una sorta di riserbo; era sicuramente più facile scriverne che parlarne. Successivamente si è iniziata a diffondere la testimonianza pubblica e con quella si è diffusa, in chi parlava e nell’uditorio che ascoltava, una emozione condivisa. L’orrore raccontato da chi era uscito vivo dal Lager era impressionante. Quelle parole richiamarono sempre maggiore attenzione e da lì è partita ‘l'epoca del testimone' che ha dato luogo a molta saggistica, letteratura e cinema. Tuttavia, nel corso degli anni, si è risvegliata anche la voglia di rivincita di coloro che si erano nascosti nell’ombra dei loro crimini.

Ovvero?

Gli assassini di allora, i vinti, hanno cercato la loro rivalsa chiedendo di mettere una pietra sopra al passato. Sono sempre quelli che parlano di conciliazione: anche nella vita di tutti i giorni sono sempre gli assassini che chiedono perdono agli assassinati, non è mai il contrario.

Foto LaPresse/Nicolò Campo 30/01/2019 Torino (Italia) Cronaca Evento annuale Compagnia di San Paolo per presentare linee di intervento per il 2019 Nella foto: Walter Barberis
(Ph LaPresse/Nicolò Campo) Torino, 2019. In foto: Walter Barberis

Quanto è utile e quanto è incisivo puntare, attraverso libri, film o racconti, all'emotività della persona per spiegare quello che è successo affinché non accada di nuovo?

La realtà storica deve essere cercata da chi si è dato il compito di farlo. Sono gli storici che hanno il dovere di fare della buona Storia. Ci auguriamo che gli strumenti ausiliari della storia come cinema, teatro e letteratura non falsifichino il dato della storia e si prendano tutta la libertà per raccontare quello che è successo, toccando l'emotività e l’intelligenza dello spettatore, trasmettendo un messaggio utile affinché le cose non si ripetano.

I nuovi strumenti di comunicazione che fanno da moltiplicatore a negazionisti e altri movimenti, rendendo più difficile reperire fonti veritiere, hanno trasformato la memoria e in che modo?

Purtroppo credo di sì. Essendo questi strumenti largamente alla portata di tutti, non c'è nessuno che chiede l'onere della prova ai negazionisti. Io che sono stato accusato dai negazionisti di non verificare le loro fonti, ho sempre detto che non ho mai assaggiato le crocchette dei cani perché sapevo benissimo che sono cibo per animali. Penso che questo messaggio debba sconfiggere la voce di questi terribili ignoranti. L'ignoranza, così come l'indifferenza, è la forma pericolosa del virus; perché sono invisibili. Gli stivali lucidi e le uniformi sono allarmanti, ma si vedono subito.

Quanto c'è di reale e quanto di plasmato nella memoria storica che viene tramandata, ma soprattutto come si può identificare cosa è vero e cosa invece è travisato da un'emozione o da altri fattori?

In genere la testimonianza non ha mai cercato di raccontare le ragioni del nazismo, ha sempre cercato di raccontare la terribile esperienza individuale o di gruppo di chi ha attraversato quel buco nero. Le testimonianze sono preziose nella misura in cui rendono sempre più profondo e tangibile ciò che è successo. La testimonianza restituisce il quando, dove, come; ma in genere non è in grado di spiegare il perché. In ogni caso, sono importanti le testimonianze delle vittime, ma sono altrettanto importanti quelle dei carnefici. Siamo a pochi giorni dalla cattura di un criminale in Italia e tutti si dicono in fervida attesa che costui parli, che racconti qualcosa di decisivo. Non è stato diverso per le persone che sono state coinvolte nell'uccisione di milioni di esseri umani. Queste persone hanno restituito testimonianze incredibili, pure mentendo per cercare di scagionarsi o provando a confondere le acque con racconti non veritieri.

All'epoca – come scrive nel suo libro – si chiedevano se le atrocità di quel periodo si potessero ripetere anche in futuro, in tempi e modi diversi. Oggi cosa rispondiamo?

Abbiamo avuto genocidi che si sono ripetuti altrove, in luoghi dove non abbiamo ritenuto di portare il nostro interesse perché lontani dall'Europa, o appartenenti a luoghi e culture che il nostro pregiudizio giudica inferiori; perché meno segnati, come la Germania, dall’eccellenza degli scrittori e dei musicisti. Abbiamo chiuso gli occhi pur avendo sui nostri tavoli libri di scrittori come Primo Levi, che ci hanno messo in guardia circa la possibilità che quegli orrori si potessero ripetere. Eppure abbiamo assistito come se non ci riguardassero come le guerre che hanno sconvolto i Balcani, i paesi dove in molti siamo andati in vacanza, a pochi chilometri dall’Italia.

Crede che dovremmo ritenerci complici?

Siamo complici nella misura in cui rimaniamo indifferenti o quando in misura minoritaria condividiamo queste tendenze razziste, xenofobe, nazionaliste. Ripeto, l'ignoranza e l'indifferenza sono i due elementi più pericolosi.

È possibile creare una memoria non fallace, ma che sia verosimile, realistica e reale e resista nel tempo? Se sì, come?

Diffondendo tutti i materiali documentari, tutte le testimonianze. Continuando a studiare questi fenomeni. Continuando a trasmettere quei film che hanno contribuito ad aprirci gli occhi, “Shindler’s List” , “Il pianista”, “L’onda”: sono materiali utilissimi, insieme con le immagini del documentario “Notte e nebbia” di Alain Resnais o le interviste di Claude Lanzmann. Sono tutti contributi molto efficaci, che affiancano e corroborano le indagini storiche. Finché leggeremo Primo Levi, "Se questo è un uomo" oppure "I sommersi e i salvati", ci salveremo anche noi.

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