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Festa del papà fra lockdown, smart working e Dad: “Pari opportunità anche per i papà”

Oggi è la festa del papà ma in Italia purtroppo non ci sono pari opportunità: nel 2020 su 101.000 persone licenziate a causa della pandemia 99.000 sono donne. Ma nonostante tutto sono molti gli uomini che si oppongono a tutto ciò, che cercano parità anche in famiglia, districandosi fra smart working che non è affatto smart, DAD e la cura dei figli, senza per questo farsi chiamare “mammo”. E oggi, più di prima, è la loro festa.
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Sono le otto e vengo svegliato da uno strano e affannato vociare e brigare. Colgo al volo qualche parola di soppiatto e mi ricordo che oggi è la Festa del papà. E come da tradizione la mia ragazza con il nostro bimbo e la nostra bimba sono di là, che di nascosto preparano qualche sorpresa.
Uno dei lati positivi – forse l’unico – di non poter lavorare e avere la scuola a casa (la didattica a distanza ovvero la DAD), se proprio si ritiene necessario guardare sempre il bicchiere mezzo piano, per quanto ormai sia più che altro vuoto anzi praticamente bucato, è che puoi svegliarti leggermente più tardi.
E direi che mai acronimo fu più azzeccato di DAD in questa giornata – o meglio in questo periodo, anzi in quest’anno – per tutti i papà che lavorano da casa o non lavorano affatto perché non possono. Anzi forse oggi sarebbe più opportuno chiamarla "La festa del Walking Dad", visto che siamo sospesi, non vivi.

Festa del papà senza pari opportunità

Prima di proseguire però vorrei scansare ogni equivoco: in Italia purtroppo non ci sono pari opportunità, è un dato di fatto, e nella stragrande maggioranza dei casi sono le donne, le mamme ad essere “costrette” a rimanere a casa e occuparsi dei figli e figlie che non possono andare a scuola e non possono essere lasciati soli. Sono le donne che vengono obbligate a chiedere la riduzione di orario e quindi lo stipendio, sono le donne che nel 2020 a causa della pandemia hanno perso il lavoro: su 101.000 persone licenziate, 99.000 sono donne.
Ma nonostante tutto sono molti gli uomini che cercano di opporsi a tutto ciò, che provano a sostenere le donne nell’ottenere pari diritti, che vivono il loro “ruolo” cercando parità anche in famiglia, uomini che non “danno una mano nelle faccende di casa” ma semplicemente fanno la loro parte perché non ci sono lavori da maschio e lavori da femmina, papà che si prendono cura dei propri figli e figlie allo stesso modo di una mamma ma non per questo si fanno chiamare “mammo” perché sono papà e basta. E oggi è la loro festa.

Lo smart working in pandemia non è smart

Arrivato di là, il sole spalanca le vetrate che danno sulla veranda della nostra casetta di campagna e sbatte su un enorme, bellissimo e coloratissimo cartellone: «BUONA FESTA DEL PAPA – PAPONE», con quattro manine e molti cuoricini. “Papa”, senza accento, non è un refuso, ma d’altronde, leggendolo mi son detto: «Ce sono due, uno in più che male mai farà?». Peraltro io e i papi abbiamo molte cose in comune: parliamo a vaste platee, non guidiamo e amiamo molto i bambini.

Che poi lo chiamano smart working ma se sei nel mezzo di una pandemia mondiale non ha proprio un cazzo di smart, di agile, anzi! Perché mentre cerchi di lavorare, scrivere e parlare chiaramente in una call fondamentale, devi preparare da mangiare, pulire casa, rispondere ad ogni tipo di domanda sull’esistenza e sulle nuvole, mettere via i giochi lasciati per terra cercando di evitare di morire, allontanare delle piccole persone urlanti che si lanciano su di te mentre sei in una riunione su zoom, farsi una doccia, fare la doccia a chi non se la sa fare, preparare il pc per la video lezione, tenere un orecchio alle mille domande e agli incidenti in dad.

Papà e dad

“Maestra non ho capito!” “Maestra non ho sentito!” “Maestra posso scrivere in rosso?” “Maestra ieri ho visto il Re leone! (Bellissimo per carità ma non c’entra un cazzo!)" “Maestra posso scrivere con il fucsia?” “Maestra io ho il pennarello verde acqua! WOOOOW (per quale cazzo di motivo il verde acqua riscuota questo incredibile fascino io non lo capirò mai)". Fin quando ad un tratto: “Maestra mi sono persa, aiuto!” dice urlando, una bimba, mentre sono chini sul loro quaderno sotto dettato. E la maestra con tutta la dolcezza del mondo – una dolcezza che io avrei perso soltanto già al "Posso scrivere con il fucsia?" – e un’affettuosa ironia – che riesco a tirar fuori una volta su dieci nelle mie migliori serate – le risponde, piano, forse per paura di far troppo forte:
Devi trovarti tesoro, prova a guardare se sei sotto il tavolo…
Tutte le bimbe e tutti i bimbi ridono, “Perché puoi trovarti solo tu cara, ricordalo: quando ti perdi puoi ritrovarti soltanto tu. Dovete essere bravi in questo momento bimbi ma vedrete che presto torneremo a riabbracciarci.
E mi viene da piangere, di nascosto per non farmi vedere (perché sarà pure la mia festa ma anch'io mi perdo in questo maledetto mare infinito di giorni uguali) e abbracciare e urlare e chiedere scusa e cantare e correre e sognare e baciare la maestra, perché dicono che “c’è un tempo per seminare e uno che hai voglia ad aspettare ma c’è un tempo che non passerà mai ed è il tempo per sognare, per sperare che tutto torni normale.

E mi verrebbe voglia di abbracciarlo, portarlo via, metterlo sulle spalle, come quando era piccolo piccolo e correre nel bosco ad inseguire i Draghi ma poi mi ricordo che oggi è la mia festa e non ho voglia di dare la caccia ai presidenti del consiglio, almeno per oggi. Tanto poi domani si ricomincia tutto da capo.

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