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Elsa Morante, ricordo della grande scrittrice a 30 anni dalla sua scomparsa

Dopo il grande centenario del 2012, ricordiamo ancora una delle protagoniste del romanzo italiano novecentesco: Elsa Morante. Figura complessa e tormentata, sopravvive ormai come classico assoluto al centro del panorama del secolo scorso, ancora, a trent’anni dalla sua scomparsa, avvenuta in circostanze di grande inquietudine spirituale, per infarto, dopo un tentato suicidio.
A cura di Luca Marangolo
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Elsa Morante non è solo probabilmente una delle voci più complesse, originali e profonde del romanzo italiano, ma è stato scritto che i suoi romanzi debbano essere letti sullo sfondo della tradizione del Novecento europeo, attraversato da tensioni sperimentali, moderniste come di profondi afflati di realismo.

Pur possedendo come dote innata l’originalità stilistica la Morante, tuttavia, è difficilmente incasellabile, ad esempio, nella esperienza pur coeva delle neoavanguardie; le sue opere attraversano una gamma vastissima e quasi talora magmatica di forme e stili, a cominciare dalla freschezza e dalla incantevole prosa de L’Isola di Arturo, passando per la dirompente forza del romanzo corale de La Storia, fino ad un’opera dalla gaiezza e dalla lunare unicità come il poema Il mondo salvato dai ragazzini.

Data la fisicità dirompente della prosa in talune sue opere e la costante originalità, nella Morante difficilmente troveremo modelli: non troveremo paradigmi per gli scrittori più à la page, né tantomeno troveremo forme che si proiettano nella storia letteraria in modo più o meno visibile. Troveremo, questo sì, una poetica distinta, dove la relazione con l’immaginario gioca un ruolo essenziale, a cominciare da Menzogna e sortilegio dove le stanze di una dimora di nobili siciliani decaduti si fanno il luogo di una trasfigurazione romanzesca di un passato immaginifico.

Troveremo il fiume della Storia che, come ha dichiarato Cesare Garboli, era per Morante essenzialmente la Storia degli sconfitti dalla Storia, era una Storia di umiliazioni, una Storia di persone che subiscono la Storia.
Elsa Morante è anche un’intellettuale incredibilmente discreta- se ne consideriamo la caratura- al centro di un vero e proprio crocevia di altri intellettuali, dal marito Moravia a Pasolini a Carlo Cecchi e allo stesso Garboli che ne è stato per tanti anni fra i più sofisticati interpreti. Una protagonista del Novecento che, però, a causa della incredibile complessità e originalità, è rimasta a tal punto un unicum nella storia letteraria – nonostante la vicinanza di tutte queste figure di spicco- da essere ancora oggi difficile da inquadrare, per la critica letteraria, che pure la ha consacrata.

E questa donna appassionata dalla violenta originalità, che faceva della sua eccentricità, fra l'altro, una buona difesa dal resto del mondo per la sua intima ispirazione, che amava stendere e ristendere a penna tutti i suoi romanzi, viene ricordata spesso da coloro che le erano vicini anche nel momento della scomparsa avvenuta appunto trent’anni fa, come una donna avvolta purtroppo nella più grande sofferenza spirituale, ovvero dopo la penosa scoperta di una malattia ed un tentato suicidio.
Poche semplici righe del suo Piccolo manifesto dei comunisti, forse, raccontano meglio di qualunque altra cosa la sua vibrante personalità:

“L’onore dell’uomo è la libertà dello spirito. E non occorrerebbe precisare che qui la parola spirito (non foss’altro che sulla base delle scienze attuali) non significa quell’ente metafisico-etereo (e alquanto sospetto) inteso dagli “spiritualisti” e dalle comari; ma anzi la realtà integra, propria e naturale dell’uomo.
Questa libertà dello spirito si manifesta in infiniti e diversi modi, che tutti significano la stessa unità, senza gerarchie di valori. Esempio: la bellezza e l’etica sono tutt’uno. Nessuna cosa può essere bella se è un’espressione della servitù dello spirito, ossia un’affermazione del Potere. E viceversa.”

Questo era probabilmente un tratto distintivo della Morante, ovvero quello di essere veramente sempre alla poetica ricerca di uno spazio franco, lo spazio della propria libertà spirituale, che era fonte, per lei, di ispirazione politica e letteraria al contempo; libertà spirituale necessaria per una personalità talmente complessa da risultare effettivamente difficilmente descrivibile, eppure per questo affrancata da ogni inutile irrigidimento critico ma, precisamente per questo motivo, per noi posteri enormemente preziosa.

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