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Cesare Segre: la scomparsa di un grande critico

E’ di ieri sera la scomparsa di Cesare Segre, grande filologo, critico e semiologo, fondatore della “scuola pavese” e importante voce della vita culturale italiana e europea per sessant’anni. Ripercorriamo la sua ricca e complessa carriera.
A cura di Luca Marangolo
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La scomparsa di Cesare Segre, avvenuta ieri pomeriggio nella sua dimora milanese, è la conclusione di una lunghissima ed estremamente fertile attività critica, linguistica e filologica, di  spessore, varietà e prestigio, che ha pochi eguali in Italia e in Europa.

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Filologo romanzo di formazione influenzato dalla critica stilistica, il suo lavoro di edizione critica dei testi romanzi gode tutt’oggi di un riconoscimento culturale fortissimo; basti solo accennare all’edizione critica (ovvero la ricostruzione filologica storicamente attendibile di un testo, ndr)  dell’Orlando Furioso in collaborazione con Santorre De Benedetti e poi a quella fatta da Segre nel 1971 della Chanson de Roland, il testo capitale della letteratura francese ed europea del medioevo, che è considerata un modello di approfondimento critico assoluto per gli esperti del settore ed è il testo che hanno adottato anche gli stessi francesi.

Ma Segre è stato molto più di questo: assieme ad un altro paio di nomi della critica letteraria italiana, come Umberto Eco e Romano Luperini, ha contribuito in modo fondamentale all’introduzione, la rielaborazione critica e all’assimiliazione, nella cultura universitaria post-crociana, dei metodi di analisi del testo della semiotica e dello strutturalismo, mediando per primo e in maniera cruciale fra l’imponente tradizione di studi italiana, fatta di ricostruzioni storiche e ricerche filologiche, e l’ondata di grandi novità che ha investito la critica letteraria europea, a partire dalla Francia di Saussure e Barthes, contribuendo così lui stesso in modo decisivo a rivoluzionare la critica letteraria.

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Segre è stato insomma un critico dalla formazione solidissima e personale e tuttavia in grado di dialogare con tutte le voci della cultura novecentesca con estrema lucidità, aprendo così la riflessione critica ad una dimensione filosofica che in passato non aveva mai avuto. Una visione della letteratura libera dalle ideologie, ma anzi un’ idea della letteratura come qualcosa che nella sua storicità scava dentro l’ideologia e la critica corrosivamente dall’interno: uno strumento di libertà per l’uomo e di autocoscienza, particolarmente adatto ad analizzare la complessità etica delle cose e ad ampliare la visione del mondo e della storia.

Difficile riassumere i contributi critici di Segre, che spaziano dalla filologia romanza alla medievistica, all’italianistica (con un’importante edizione delle Satire ariostesche ed un’antologia della poesia italiana), alla letteratura comparata, alla semiotica, alla critica della letteratura contemporanea e militante.  In sessanta anni di attività critica scegliamo di citare i suoi incisivi studi sullo strutturalismo Le strutture e il tempo, che sono una vera e propria disamina  di tutti i principali e più importanti metodi di analisi di forma del testo (da quelli di Propp a Greimas a Genette, nomi che diranno molto a chi si interessa di critica letteraria); Cesare Segre ha posto così al centro una fondamentale domanda che coinvolge lo statuto della critica: in quale misura ha senso analizzare e fissare un testo secondo certi criteri, come inevitabilmente fa la critica letteraria, e contemporaneamente concepire un testo letterario come qualcosa di storico, non dunque fissato in un modello e un’unica interpretazione.

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E ancora sono da ricordare senza dubbio testi importanti come il  suo Fuori dal mondo: i modelli nella follia e nelle immagini dell'aldilà in cui Segre ha analizzato questi temi nella storia della letteratura teorizzando che tale analisi potesse dire molto dello statuto in sé della fiction: quanto  pesa sull’invenzione di un qualsiasi mondo di finzione la rappresentazione che abbiamo della nostro universo? Quanto è in grado o deve allontanarsi dalla realtà del mondo chi ne inventa uno nuovo? Per Segre la rappresentazione dell’aldilà, dalla Divina Commedia in su, è un interessante materiale di indagine culturale sul potere della letteratura di essere metafora del reale.

Partendo dal bagaglio della critica storica e stilistica  di Contini e Benvenuto Terracini, Segre è stato insomma un crocevia vivente di dialogo critico fra modi di vedere la letteratura, estremamente attento all’evoluzione della disciplina critica e contemporaneamente molto attivo culturalmente su testate giornalistiche come Il Corriere della Sera e riviste storiche come “Strumenti Critici”, “Medioevo Romanzo” ed “Esperienze letterarie”, lavorando con critici di grande influenza come Dante Isella, Maria Corti e Carlo Ossola.

L’attività critica di Segre, per la sua complessità e capacità di problematizzazione, sembra lungi dall’essere assimilata, è un punto di vista cruciale sulla letteratura ed è un esempio di lucidità: poco prima della scomparsa di Segre, Mondadori aveva raccolto molti suoi lavori significativi in un Meridiano dal titolo “Opera Critica”.

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