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Opinioni

Ascanio Celestini: “I politici considerano la cultura un salotto per aperitivi”

Intervista ad Ascanio Celestini sulle riaperture a rilento dei teatri dopo il lockdown. “La frase del premier Conte sugli artisti che ci fanno divertire e appassionare rivela il modo in cui la politica considera la cultura: un aperitivo”. E sui provvedimenti del Governo: “Vada a vedere quali sono i problemi reali dei teatri”.
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Ascanio Celestini da GettyImages
Ascanio Celestini da GettyImages

"Il problema è che in Italia la produzione culturale è considerata il salotto della politica. E nemmeno un salotto buono. Dove a dirigere il teatro o il museo vengono piazzati gli amici, i conoscenti, a volte il fratello meno furbo che non si occupa dell'azienda di famiglia ma ha studiato musica. Viviamo in una democrazia di relazioni…". Dal 15 giugno i teatri possono riaprire, eppure in molti hanno scelto di non farlo. Così lo scorso 21 giugno, a "Grande come una città" rassegna organizzata nel III Municipio di Roma da Christian Raimo, insegnante, scrittore e da quasi un anno assessore alla Cultura del municipio romano, Ascanio Celestini è tornato in scena dopo la lunga, forzata pausa dovuta al lockdown e alla pandemia. Più o meno nelle stess ore un "mucchietto di artisti" come ha scritto l'autore di "Radio clandestina" in un post, si recava a Villa Pamphilj a incontrare il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per gli Stati generali.

Il modo in cui si è svolta la parte relativa alla cultura negli Stati generali indetti dal premier Giuseppe Conte proprio non le andata giù…

Il gruppo di artisti che si sono recati agli Stati generali voluti da Conte sono tutti validi esponenti della cultura italiana, che però avevano il limite, in quella circostanza, di rappresentare solo se stessi. Nella quasi totalità dei casi si trattava di persone completamente a digiuno dei risultati dei tavoli di lavoro realizzati dagli operatori della cultura in questi mesi, delle istanze dei sindacati del settore.

In un suo post su Facebook ha ironizzato verso il fatto che a fine incontro con il premier pare che Elisa abbia cantato…

Non ce l'ho con Elisa, che anzi trovo bravissima, né con Baricco (ho scoperto che mio figlio studia sui testi della Holden) ma il punto è: perché il nostro Presidente del Consiglio ritiene di parlare di problemi tecnici e gravi che affliggono la cultura con loro? Che cosa gli possono raccontare? Ci andassero i sindacati, a parlare col presidente. Ci andasse chi si troverà ad affrontare il problema dei diversi protocolli regionali che costringeranno un artista in tour – per restare al mio ambito, il teatro – a cambiare modalità di svolgimento del proprio lavoro passando i confine dal Molise all'Abruzzo. Baricco scrive benissimo i suoi romanzi, ma che c'entrava in quella situazione?

In generale, come le sembra che la nostra classe politica consideri la cultura?

La frase di Conte sugli artisti che "ci fanno divertire e appassionare" rivela il modo in cui la politica considera la cultura poco più di un aperitivo. Un aperitivo raffinato, ma pur sempre qualcosa di cui si può fare a meno. Il punto è che in questo momento siamo tutti tentati dal mettere la cultura in secondo piano. A che servono i libri? A che serve andare a teatro? Perché non dobbiamo starcene a casa? Invece non è così, l'elemento relazionale è importante.

Quale il compito del teatro in una situazione simile?

Il teatro ha e deve continuare ad avere un'altra funzione, tocca a noi farlo capire alla politica. Non è un aperitivo, ma è un servizio essenziale. In alcune realtà di periferia del nostro Paese, un teatro aperto ha un valore che si avvicina molto a quello di un ambulatorio. Ed è un settore che ha da tempo problemi enormi, molto concreti, di cui vorrei che si discutesse seriamente.

Qualche esempio?

Uno su tutti: il contratto nazionale dei lavoratori viene poco o per nulla rispettato. Oggi sono pochissimi gli attori a cui vengono pagate le prove nel nostro Paese. Due: qualcuno si è mai interrogato sullo stato di sicurezza nei teatri italiani? Se a qualcuno saltasse la voglia di controllare quanti, dei nostri antichi e storici teatri, dispongono della certificazione di agibilità, potremmo scoprire molte cose interessanti. E poi: la solidarietà a e maestranze dobbiamo esprimerla sempre, non solo quando si fanno male o muoiono. Dovremmo sempre occuparci delle condizioni di sicurezza in cui lavorano. Eppure lo sa perché in molti teatri non si rispettano le condizioni minime di sicurezza?

No.

Perché la linea-vita a cui un tecnico va ancorato non esiste nel 90% dei teatri italiani, quindi praticamente nessun operaio oggi nei teatri italiani lavora in sicurezza.

Detto ciò, lei è per un'apertura generalizzata dei teatri. Mentre in molti, da Nord a Sud del Paese, sono fermi…

Se si può aprire un teatro, va aperto. Dire che non si possono riaprire è una bufala. Ed è oltremodo inaccettabile che non lo si faccia sostenendo che non ne vale la pena, perché non si può aprire una platea da cinquecento posti soltanto per cento persone. Dov'è il problema, mi chiedo? Prima del virus ci dicevamo che la gente non veniva più a teatro, se è così si apra per quei cento. Prima della Covid-19 sono stato in teatri dove c'era posto per quattrocento persone e vi assicuro che ce n'erano molte meno di cento…

Qualcuno avanza la difficoltà di adeguarsi alle famigerate linee guida per la riapertura.

L'unica regola nuova rispetto al passato è: alcool e varechina. E poi un po' di distanziamento fisico e l'uso delle mascherine. Le apocalittiche sanificazioni di cui in molti parlano senza sapere cosa sono si riducono a questo. Ecco perché possiamo riaprire e possiamo farlo subito. Se poi i problemi sono i soldi e la volontà, allora è un'altra questione…

A proposito di soldi: ritiene adeguate le misure di sostegno al settore messe a punto dal governo?

Queste misure deve averle pensate qualcuno che non conosce il settore, oppure qualcuno che vuole semplicemente farci stare buoni e tranquilli. Inizialmente hanno dato il bonus di seicento euro a chiunque avesse lavorato almeno trenta giorni in un anno, poi siamo scesi a sette giornate lavorative. È un nonsense. C'è gente che guadagnerà più in un mese di bonus che in un anno di lavoro! Dare a tutti la stessa cifra, indipendentemente dal lavoro che hanno svolto, o normalmente svolgono, è un'assurdità. Così non aiuti il settore, perché in teatro si vive lavorando, non ricevendo sussidi. Il settore lo aiuti creando occasioni di lavoro. E infatti il trucco adesso si vede che possiamo ripartire e in molti non lo fanno…

In generale, sembra che il coronavirus stia svelando parecchi trucchi del modo in cui la cultura è organizzata nel nostro Paese. Andrà tutto male?

No. Perché questo potere culturale per fortuna non è totalizzante e non c'è una sola persona che ha il potere su tutto. Grazie a questo, il teatro ne verrà fuori, ne sono sicuro. Esistono i teatri nazionali, i Tric, il teatro ragazzi. Questa realtà composita aiuterà il mondo del teatro a rialzarsi. Però dobbiamo riaprire, dobbiamo tornare in scena. E farlo subito.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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