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Opinioni

Cosa resta del Congresso delle famiglie di Verona e perché c’è ancora da preoccuparsi

L’assalto ai valori e alle conquiste degli ultimi decenni da parte del mondo che si è ritrovato a Verona è fallito, grazie alla mobilitazione di centinaia di migliaia di persone nelle piazze reali e virtuali. Ma il Congresso delle famiglie ha mostrato anche di quale formidabile e potente legittimità politica goda ormai la destra ultracattolica e oscurantista. La chiave, o il pericolo fate voi, è il legame con la comunità salviniana…
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Partiamo da un dato di fatto: la mobilitazione femminista (e non solo) ha letteralmente spazzato via le velleità dei partecipanti al Congresso delle famiglie di Verona. Non c'è soltanto il dato numerico, fin troppo eclatante nella partecipazione nelle piazze reali e virtuali, ma anche un frame comunicativo che è stato capovolto e cambiato di senso. A Verona un intero mondo intendeva lanciare una contro-offensiva e preparare l'assalto alle coscienze degli italiani e al Palazzo. Tra gli italiani e loro, però, organizzatori e partecipanti (più o meno consapevoli) hanno trovato un muro fatto di principi e idee, e la voglia di futuro ha vinto, comunicativamente e idealmente, sugli spettri di un passato nemmeno troppo lontano. L'assalto al Palazzo, invece, sembra solo rimandato.

Il risultato strettamente politico è chiaro. “A Verona ci sono i fanatici che guardano al medioevo, per me la famiglia è sacra, ma è sacra anche la libertà della donna. Il disegno di legge Pillon va modificato nella forma e nella sostanza”. Le parole di Luigi Di Maio ai nostri microfoni rendono bene l’idea di quale sia stato il risultato politico più immediato del dibattito apertosi “grazie” al Congresso delle Famiglie di Verona: la messa in discussione integrale del disegno di legge Pillon. Una scelta confermata anche dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vincenzo Spadafora: “Discorso chiuso, quel testo non arriverà mai in Aula, è archiviato”. “Non sono qui per togliere qualcosa a qualcuno, non si tocca niente a nessuno. La 194 non è in discussione. Le unioni civili non sono in discussione”. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini si era espresso a margine della sua partecipazione al Congresso, mentre il governatore del Veneto Luca Zaia, che pure era presente a Verona, aveva usato toni più duri ed efficaci: “Se in questa discussione c'è una patologia è l'omofobia, non l'omosessualità".

Fallimento su tutta la linea, insomma? La questione è ben più complessa. Soprattutto se consideriamo che a regalare legittimità al mondo di Verona è stato il primo partito italiano, azionista di minoranza (per ora) del governo Conte, alle soglie di un prevedibilissimo boom elettorale alle Europee di maggio. E se analizziamo "quale futuro" hanno i temi e le campagne agitate a Verona in questi giorni. Il punto è capire che siamo in presenza si una controffensiva del mondo reazionario e ultraconservatore, che è in atto da tempo e si è saldata con il disperato bisogno di un sostrato ideologico e culturale della nuova destra populista. Il ministro Fontana è il perfetto esempio di una certa convergenza di amorosi sensi. Basterebbe leggere il suo “La culla vuota della civiltà. All'origine della crisi”, per avere una idea preciso di cosa sta accadendo a destra. Il ministro, infatti, parte dal tema della denatalità per individuare la nuova frontiera dello scontro: la rivoluzione sessuale, la distruzione dei valori tradizionali, l’emancipazione della donna, la libertà di abortire, ma anche i flussi migratori. Il tutto inserito in una cornice complottista e vittimismo, ben esemplificata dall’introduzione al libro scritta da Matteo Salvini:

E non penso sia più un mistero che vi sia un interessa internazionale dietro l'indebolimento progressivo di un Paese come l'Italia, una regia dietro la crisi attuale, favorevole soprattutto a sdoganare la vendita del nostro patrimonio. Leggendo queste pagine si capisce quale strategia il ‘Ghota' mondiale abbia in mente, quale idea di società vogliano venderci, svendendo la nostra identità, e soprattutto quale strada intraprendere.

Le tesi oscurantiste e reazionarie, le suggestioni ultracattoliche e la retorica anti-immigrazionista sono diventate la base ideologica della nuova Lega di Matteo Salvini. Un processo lento ma costante che ha avuto anche una sua celebrazione pubblica: il comizio di Milano durante il quale Salvini ha giurato sul Vangelo, con tanto di crocifisso al seguito. Nel corso del tempo, infatti, il leader leghista ha costruito una comunità ampia, all'interno della quale sono finite per convergere anime diverse per orientamento, provenienza sociale e riferimenti culturali. A tenere tutto insieme è sempre bastata la sua figura, ma il quadro è cambiato con l'approdo al governo e la controversa coabitazione con il Movimento 5 Stelle dalle parti di Palazzo Chigi.

Il salvinismo in questi anni è diventato una ideologia aggressiva ed escludente, dal respiro nazionalista-sovranista e conservatore, modellata sul leader, in quanto capo (capitano) di una comunità in grado di mobilitarsi contro il nemico del momento. Un calderone in cui finora ha trovato spazio di tutto: appropriazioni indebite di pensatori di sinistra, citazioni fasciste, suggestioni dell'alt-right statunitense, approccio "bomberista", complottismo, retorica antielite e (presunto) rifiuto del politically correct. Troppa confusione e troppa disomogeneità per chi aspira a essere egemone a destra e nel Paese per anni. Serviva un collante, un sostrato culturale che tenesse insieme i nuovi radicalizzati, quelli che compongono il nocciolo duro dell’elettorato salviniano e che hanno un enorme bisogno di azione e di sentirsi parte attiva nella politica e nella società. L’ultraconservatorismo cattolico e tradizionalista, nella versione “aggressiva e propulsiva” di questi ultimi anni, dunque, si concilia alla perfezione con le caratteristiche dell’elettorato che guarda alla Lega, anche perché consente di riempire tutte le caselle vuote della giovane libreria salviniana e di mantenere alto il livello dello scontro, una componente essenziale della predicazione del vicepresidente del Consiglio. Oltre che, ca va sans dire, di individuare con precisione "chi sono i nemici". Salvini lo ha capito (spinto anche dagli "amici comuni") e, di contro, ha da offrire un orizzonte e una prospettiva a istanze che erano sempre rimaste minoritarie e irrilevanti sul piano elettorale.

La sovrapposizione fra il popolo di Verona e la community salviniana è nella sostanza; e la sensazione è che, malgrado la "sconfitta di Verona", le questioni di questi giorni siano tutt'altro che archiviate. Ne riparleremo e toccherà farsi trovare pronti.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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