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Violentata e gettata in un pozzo a 14 anni: la storia di Lorena Cultraro

Il 13 maggio 2008 i vigili del fuoco estraggono da un pozzo nelle campagne di Caltanissetta il corpo martoriato di una giovane donna. È Lorena Cultraro, studentessa 14enne di ragioneria scomparsa due settimane prima da Niscemi. Qualcuno l’ha violentata, presa a botte e strangolata. I suoi assassini si nascondono nella cerchia della ragazza e hanno 15, 16, e 17 anni.
A cura di Angela Marino
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Prendete un paese dell’entroterra nisseno, tre bravi ragazzi di famiglia popolare di 16, 15 e 17 anni e spostate il calendario indietro all’anno 2008. Siamo a Niscemi, un’ora da Caltanissetta, dove tra una sagra e una passeggiata in piazza i protagonisti della storia, Giuseppe, Alessandro e Domenico vivono un’adolescenza tranquilla. Ridono con le fidanzate, si siedono a tavola davanti alle grandi ‘mangiate’ a casa con i parenti, scorrazzano in scooter. Quello che i ragazzi non sanno è che presto tutto questo sarà solo un ricordo lontano.

La storia di Lorena Cultraro

Tutto comincia con lei. Lorena, 14 anni, due grandi e dolci occhi castani, il corpo flessuoso di una bambina che diventa donna. Studia, è iscritta al primo anno di Ragioneria all'istituto commerciale di Niscemi. Lorena Cultraro frequenta un ragazzo più grande di lei, Alessandro, 15 anni, anche lui studente allo stesso istituto, ma in un plesso diverso. Alessandro ha due amici storici, Domenico, 17 anni, carrozziere e Giuseppe, 16 anni, operaio. Amici con cui si sente macho, forte, con cui condivide tutto. Anche Lorena. Lei è una proprietà da cedere e scambiare, come le figurine, un po' per gioco, un gioco perverso e pericoloso. Così arriva il giorno in cui lo sfogatoio, per i tre di Niscemi, diventa tragedia. “Sono incinta – annuncia Lorena – uno di voi è il padre”.

La condanna

Alessandro, Domenico e Giuseppe hanno tutti la fidanzata e non hanno alcuna voglia di stravolgere le loro vite per quello che, fino a quel giorno, era stato solo un passatempo. La situazione va presa in mano e ci pensa il maggiore di tre, Domenico, che dà agli altri direttive precise su cosa fare. Via sms. Bisogna organizzare una spedizione punitiva per dare una lezione a quella là. Intanto serve un posto sicuro, un posto tranquillo e lontano da sguardi curiosi e orecchie indiscrete. C’è un vecchio casolare, in località Giummarra, nelle campagne di Niscemi, dove certo nessuno li andrebbe mai a cercare. Il giorno fissato è il 30 aprile. Uno dei tre va a prendere Lorena all’uscita di scuola.

Il giorno della spedizione

Il giorno arriva, Giuseppe porta Lorena al casolare, in scooter. Lei è ignara. Quei tre le sembrano strani, più del solito, brutali, più del solito, le afferrano i vestiti, glieli strappano, mentre si divincola domandandosi cosa gli prenda, cosa stia succedendo. Non vuole essere spogliata, non vuole, ma fermarli è impossibile, negli occhi hanno uno strano sguardo. È costretta a subire violenza sessuale da tutti e tre, poi quando il terzo, Alessandro ha finito, diventano incontrollatamente feroci. Calci, pugni, spinte, come fosse un pungiball, un pallone di gomma che non serve più. Tutto quello che sta succedendo non è normale, ma poi si fermano, sembrano paghi, si sono sfogati, tutto è finito. È stato orrendo, ma è finito. Mentre è ancora tramortita e dolorante, Lorena sente una morsa intorno al collo stringere sempre più forte. Non respira, non riesce a muoversi, non capisce, pochi istanti dopo il suo cuore smette di battere e in terra, al suo fianco, cade un cavo di gomma, di quello che si attaccano ai televisori.

Lorena Cultraro come Desierée Piovanelli

È fatta. Lorena non dirà più niente a nessuno, non gli rovinerà la vita. Solo che ora bisogna decidere cosa fare di lei. A casa Cultraro, intanto, c’è una coppia di genitori disperati. La figlia non è arrivata dalla nonna, non è a casa delle amiche, non risponde al telefono, è ufficialmente una ragazza scomparsa. Nonostante i 14 anni qualcuno vuole credere che possa essere un allontanamento volontario, una fuga d’amore, magari, poi ci sono dei ragazzi che dicono di averla vista salire a bordo di una ‘Golf’ con un uomo più grande di lei. Non è vero e presto e gli investigatori cominciano a comprendere anche il perché di quelle false notizie. Tredici giorni dopo i vigili del fuoco estraggono da un pozzo il corpo di una giovane donna. Nudo, bruciato, in parte, da chi inizialmente aveva provato a distruggerlo con le fiamme e poi lo ha gettato nel pozzo, con un masso allacciato alla caviglia. Non c'è più speranza. La speranza del papà e della mamma di Lorena è morta lì, sul fondo di quel pozzo, tirata giù dalla pietra che ha affondato il corpo della loro bambina.

I segreti dell'autopsia

Omicidio per strangolamento, dice l’autopsia, mentre in sala interrogatori sfilano uno a uno i tre del casolare. I tabulati telefonici hanno condotto gli inquirenti direttamente a loro, che quel giorno hanno sentito Lorena per ultimi. Uno passa per essere il suo ragazzo, Alessandro, gli altri invece sono i suoi amici. È lui a crollare, dopo ore di colloquio. “Ci ha detto che era incinta e voleva incolpare uno di noi”. Da lì è tutto un fiume di parole. "Domenico e Giuseppe hanno iniziato a spogliare Lorena – inizia Alessandro – lei cercava di fare resistenza. Giuseppe e Domenico hanno proseguito e sono riusciti a spogliarla, e a turno, prima Giuseppe, poi Domenico e per ultimo io, abbiamo avuto rapporti con lei. Finito il mio rapporto Giuseppe e Domenico hanno iniziato a prendere a calci e pugni Lorena. A un certo punto – racconta – ho notato Giuseppe o Domenico che passavano al collo di Lorena un filo di corrente elettrica o un cavo TV, e glielo stringevano fortemente. Io me ne stavo in disparte a guardare e mi hanno detto di tapparle la bocca, perché cercava di gridare aiuto. Le ho messo la mano sulla bocca fino a quando non ci siamo accorti che Lorena non respirava più e le usciva anche sangue dalla bocca".

La colpa di Lorena

C’è solo un particolare che non quadra: Lorena non era incinta, lo conferma l’amica, ma soprattutto l’autopsia. Non c’era nessun bambino in arrivo, non c’era proprio niente da ‘sistemare'. Da triste storia di provincia la vicenda sale alla ribalta delle cronache nazionali. ‘Merito’, se così si può dire, del branco, dei tre tranquilli ragazzi di Niscemi, minorenni, amici della vittima, peraltro, che come i tre bravi ragazzi del Circeo, dividono l’opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti. Solo che sul banco degli imputati c’è Lorena, la vittima. “Li conosceva”, “li ha istigati”, “era troppo libera” dicono i nostalgici del Circeo, quasi a insinuare che se la ragazza fosse rimasta a casa senza dare confidenza ad alcuno, nessuno le avrebbe mai fatto niente. E la gravidanza, poi. Quella gravidanza che, forse la paura stessa di Lorena aveva materializzato dopo un ritardo, non era forse la riprova del fatto che non era proprio una ragazza irreprensibile?

L'epilogo

La bilancia del ben pensare popolare, fortunatamente, non sempre va a braccetto con la giustizia e ai tre ragazzi di Niscemi il giudice dà 20 anni di carcere.  Ancora pochi, per chi crede che un omicidio premeditato non sia la bravata di tre bulli di paese. Troppi, per chi continua a vedere in loro tre bambini a cui è sfuggita di mano una situazione difficile. E quando la storia sembra chiusa e Lorena non è che il nome a cui intitolare un'aula scolastica, cinque anni dopo, spunta una testimone. La ragazza denuncia Domenico Di Modica, il maggiore del branco: "Lo ha fatto anche a me, quando avevo 16 anni, mi ha portato in un casolare e mi ha stuprato con altri tre ragazzi minorenni”. Chi sa perché la vittima ha aspettato cinque anni per denunciare. Ah, è vero, le avrebbero dato la colpa. Lei in fondo, non era neanche morta.

I genitori di Lorena Cultraro
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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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