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“Sei maschio o femmina?”. Giada presa a calci in testa dopo gli insulti omofobi: “Voglio scappare”

La 21enne Giada Tripi è stata aggredita verbalmente e fisicamente a Palermo, lo scorso 31 maggio. Cinque ragazzini, probabilmente meno che 15enni, l’hanno presa a calci mentre era per terra. I cinque giorni di prognosi che le hanno dato in ospedale sono nulla in confronto all”umiliazione” che ha sentito. “Mi urlavano «frocio»”, racconta a Fanpage.it.
A cura di Luisa Santangelo
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"Milano, Torino, un posto in cui io mi possa sentire sicura. Un posto in cui non devo avere paura di camminare per la strada". Giada Tripi ha 21 anni e, in questo momento, non vede l'ora di lasciare Palermo.

È la sua città, ma la violenta aggressione omofoba subita alcuni giorni fa mentre andava al suo primo giorno di lavoro l'ha provata. E spaventata.

"È successo il 31 maggio – dice la giovane a Fanpage.it – Stavo andando al centro commerciale, dove avrei dovuto fare un pomeriggio di lavoro di prova".

Aveva sostenuto il colloquio quella mattina e sperava di iniziare un nuovo impiego. "Ho preso il tram e, non appena sono entrata, ho cercato un angolino per sistemarmi e stare tranquilla. Questi ragazzi, che erano cinque e avevano meno di 15 anni, mi hanno vista e da subito hanno iniziato a prendermi in giro".

La prima parte del racconto della giovane si svolge sul tram. Lì cominciano gli insulti per l'abbigliamento "e perché non si capisce se sono maschio o femmina. Io ho pensato di rispondere a tono, nella speranza che la cosa finisse lì. Ma loro hanno continuato. Ho detto: «A voi non frega nulla di chi sono».

Le persone attorno stavano in silenzio, ma osservavano tutto". Il capolinea del tram è la fermata del centro commerciale. Giada scende e con lei anche loro. "Davanti a tutti, questi ragazzi cominciano a urlarmi «frocio». Io, presa dal nervosismo, mi volto e mi avvicino a quello che sembrava il più grande, tentando di intimorirlo. Ma lui mi dà un calcio".

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A quel punto la 21enne palermitana capisce che non riuscirà a farli smettere. E che l'unica opzione che ha è entrare al centro commerciale e andare verso il lavoro. "Loro mi seguono, iniziano a dirmi: «Non ti giri più? Hai paura?».

A quel punto mi volto ancora, uno mi spinge, ci azzuffiamo. Io ho tentato di difendermi, ma lui, sempre quello che sembrava più grande, mi fa lo sgambetto. Io cado a terra e il resto del gruppo inizia a prendermi a calci in testa, sulle spalle e su tutto il corpo". In un post su Facebook, Giada ha scritto: "Non auguro mai a qualcuno di ritrovarsi in queste circostanze e pensare «sto morendo?», «Cosa ho fatto di male?», «È colpa mia?»".

L'aggressione termina quando i palermitani impegnati a fare shopping e commessi e commesse dei negozi intervengono. "Loro sono scappati subito".

Giada viene subito aiutata dai lavoratori del centro commerciale, poi arriva la polizia, le consigliano di chiamare qualcuno, di farsi portare in ospedale da un parente. Arriva il fratello, la portano in ospedale, le refertano lividi e graffi: la prognosi è di cinque giorni. "Gli agenti mi hanno detto subito che avrebbero preso le immagini di videosorveglianza e che avrebbero subito tentato di identificarli. So, comunque, che lo stesso giorno si sono costituiti".

L'aggressione del 31 maggio, però, non è la sola che Giada abbia subito.

"Mi è capitato almeno altre due volte: erano aggressioni verbali, non fisiche, ma il livello di umiliazione che io ho sentito era lo stesso. Mi guardo sempre le spalle, non mi sento mai al sicuro, sono satura di vivere dove sto adesso", commenta la 21enne. Le altre due volte, però, non ha denunciato: "Ho grande fiducia in polizia e carabinieri, ma le altre volte pensavo fosse inutile. Stavolta, invece, mi sentivo più sicura anche perché, essendo successo dentro al centro commerciale, sapevo che c'erano le telecamere di sicurezza". E sapeva che le immagini avrebbero confermato la sua versione.

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La sua famiglia e la sua compagna, adesso, le stanno accanto per aiutarla a fare i conti con quanto accaduto. "Mi supportano al cento per cento. Siamo tutti contro le discriminazioni e contro la violenza". Ma la rete di affetti e conoscenze non basta per sentirsi protetta: "Servono leggi, norme costruite con l'intento specifico di proteggere le minoranze. E poi serve una migliore formazione nelle scuole: giocano un ruolo fondamentale nella costruzione della personalità di una persona – conclude – e hanno un compito anche in questo".

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