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Scappano dalla violenza di Boko Haram: li “accogliamo” in un ristorante per matrimoni

350 profughi provenienti dall’Africa sono ospitati in un ristorante per matrimoni. Ammassati uno sull’altro nei saloni del ristorante dove i letti hanno preso il posto delle sedie e dei tavoli.
A cura di Antonio Musella
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"300 immigrati hanno devastato l'hotel che li ospitava (hotel Di Francia, provincia di Napoli), gettando in strada mobili e materassi, per protestare contro il trattamento "disumano". Primo: per l'albergatore non mi dispiace, se l'è andata a cercare. Secondo: per gli immigrati, espulsioni a calci in culo. Buona domenica" –  così scrive Matteo Salvini in un post su Facebook domenica 9 agosto alle 11:30. Il leader della Lega Nord si riferisce alla protesta inscenata dai migranti ospitati presso una struttura in provincia di Napoli. I migranti avevano ammassato i materassi in strada ed avevano bloccato la strada accanto alla struttura. Il motivo era legato alla mancata erogazione del pocket money, ovvero il sussidio che spetta loro di diritto secondo le norme sull'accoglienza dei profughi, da parte della Prefettura. Al tempo stesso la protesta aveva riguardato anche le condizioni precarie in cui erano costretti a vivere. Mentre Matteo Salvini scriveva il post, noi di Fanpage andavamo a Giugliano in provincia di Napoli per andare a vedere come vivono i profughi ospitati in quella struttura.

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Sulla statale Domitiana a poche decine di metri dalle spiagge stracolme di ombrelloni nella zona di Varcaturo c'è il "Di Francia park". La prima cosa che salta agli occhi è che non si tratta di un albergo. È un "wedding park", un ristorante per matrimoni e cerimonie di tutti i tipi. Come è possibile leggere anche nel sito web della struttura, il "Di Francia park" ospita matrimoni, conferenze, convegni, cene di gala e fornisce ogni tipo di servizio: addobbi floreali, riprese video, animazione, intrattenimento musicale, noleggio auto. In questa struttura sono ospitati circa 350 migranti. Le hall del ristorante, solitamente usate per sistemare tavoli e banchetti, sono state trasformate in enormi camerate con i letti sistemati uno accanto all'altro. Al centro come divisorio sono stati messi dei pannelli in plexiglass che separano gli ambienti formando all'interno della stessa hall diverse camerate.

I migranti che ci accolgono nel cortile della struttura ci raccontano che in ogni hall ci sono fino a 100 persone alloggiate, con pochi bagni, spesso sporchi. Capitiamo all'orario di pranzo quando gli operatori della società che ha in appalto l'accoglienza, la New Family, stanno distribuendo ai 350 ospiti i pasti. Si tratta di un catering esterno, i pasti non sono preparati nelle cucine della struttura, già abituate in maniera plausibile a preparare cene per centinaia di persone. "Sempre pasta" ci dicono i migranti mentre afferrano le vaschette di plastica con la pasta al sugo all'interno, rigonfie per il calore esterno ed il vapore emanato dal cibo. Chi lavora al "Di Francia park" ci spiega che la struttura può ospitare fino a 700 persone in occasione delle cerimonie e che ai migranti vengono messi a disposizione due televisori. Proprio davanti ad un televisore, nel giardino del ristorante, si sono riuniti almeno una trentina di ragazzi. Guardano un notiziario di Al Jazeera. Tutto intorno sulle panchine e sulle sedie ci sono ad asciugare i loro abiti, pantaloncini, t-shirt, qualche indumento intimo. Dalle finestre al pian terreno è possibile vedere uno dei saloni trasformati in enorme camerata. Molti ragazzi riposano sui letti, altri invece sono appena rientrati dall'esterno. Sono loro che ci spiegano che in un "wedding park" non si può vivere, "siamo ammassati come in un ospedale" ci spiegano, "qui non ci sono stanze", questo non è un albergo. Veniamo fermati da un operatore che ci invita ad abbassare la telecamera, "senza autorizzazione dei titolari non potete riprendere". Decidiamo di uscire all'esterno a parlare con i migranti per ascoltare le loro storie.

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Desmond è il primo a venirci incontro ed intorno a lui si radunano una decina di ragazzi attratti dalla telecamera. Ha un bermuda, una camicia a maniche corte ed un paio di ciabatte, "indosso questi vestiti da mesi, me li hanno dati a Lampedusa, non ho altro". Ha studiato economia presso l'università del Benin, "finanza bancaria" per la precisione, è nigeriano della città di Abuja dove c'è ancora sua moglie. In Nigeria imperversa la guerra tra l'organizzazione terrorista islamica Boko Haram ed il governo nigeriano con sede proprio ad Abuja, sostenuto dalle forze dell'Unione Africana che ha mobilitato contingenti militari del Ciad e del Niger contro i terroristi. Proprio ad Abuja il 14 aprile dello scorso anno una bomba allo stazionamento degli autobus causò 71 morti e 124 feriti. Si stima che dall'inizio del conflitto nel 2006, Boko Haram abbia provocato circa 13 mila morti e oltre un milione di sfollati. Persone scappate dal paese per salvarsi la vita. Dopo un bombardamento la casa ed il negozio dove Desmond viveva con sua moglie ed i suoi figli sono andati distrutti. Per fuggire alla guerra ha deciso di partire ed attraversare il continente fino alla Libia. Lì ha trovato un'altra guerra civile, altri morti ed altra distruzione. Così ha dato tutto quello che aveva per salire su un barcone fino a Lampedusa. Da lì è arrivato a Giugliano dove nel cortile del "Di Francia park" ha trovato ad accoglierlo una grande scritta sulla facciata della struttura: "il tuo sogno è realtà".

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