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Ergastolo per Giuseppe Difonzo, l’uomo affetto dalla sindrome di Munchausen che soffocò la figlia

Secondo i giudici della Corte di Assise di Appello di Bari Giuseppe Difonzo uccise volontariamente e con premeditazione sua figlia Emanuela di tre mesi, soffocandola nel sonno nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 2016. In primo grado il 32enne di Altamura era stato condannato a 16 anni di reclusione.
A cura di Susanna Picone
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Giuseppe Difonzo, trentaduenne di Altamura, uccise con premeditazione sua figlia Emanuela di tre mesi, soffocandola nel sonno nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 2016. La Corte di Assise di Appello di Bari ha condannato l'uomo alla pena dell'ergastolo dopo che in primo grado Difonzo era stato condannato a 16 anni di reclusione. I  giudici hanno accolto l'appello della Procura sulla qualificazione dei reati, ritenendo il trentaduenne colpevole di omicidio volontario premeditato e non preterintenzionale, e di due tentati omicidi. I giudici hanno disposto anche l'isolamento diurno per quattro mesi, la decadenza dalla potestà genitoriale e la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, la mamma della bambina uccisa.

Stando alle indagini dei Carabinieri, Giuseppe Difonzo avrebbe soffocato la figlioletta Emanuela durante un ricovero in ospedale nella notte fra il 12 e il 13 febbraio 2016. La bambina era nata nell'ottobre 2015 ed era stata ricoverata per 67 giorni in circa tre mesi a causa di crisi respiratorie provocate, secondo l'accusa, sempre da suo padre. In altre due occasioni l'uomo avrebbe già tentato di ucciderla in casa: il 19 novembre 2015, quando la bambina aveva un mese, e poi il 10 gennaio 2016. Difonzo sarebbe affetto dalla sindrome di Munchausen per procura, che consiste nel fare del male ad altri per attirare l'attenzione su di sé. L'uomo condannato all'ergastolo è detenuto per il delitto dal novembre del 2016, ma all'epoca era già in carcere per violenza sessuale su una minorenne, la figlia quattordicenne di amici di famiglia, per la quale è stato condannato con rito abbreviato a 3 anni di reclusione.

"È stata fatta giustizia. Non si può dire che la giustizia non esista", ha commentato l'avvocato Sabina Piscopo, difensore di parte civile nel processo. "Oggi io, rivolgendomi alla Corte di Assise di Appello – le parole della legale – ho chiesto giustizia per la mamma che non ha mai avuto il diritto di vivere con la sua figlia, ma soprattutto per Emanuela, alla quale la vita è stata tolta prima ancora che iniziasse". L'avvocato ha raccontato che alla lettura della sentenza la mamma di Emanuela, presente in aula, è scoppiata in lacrime. "La sentenza ingiusta del primo grado – così ancora l'avvocato – era stata una sofferenza immane. Oggi riconosco nella giustizia un valore assoluto. Entrambe siamo esplose in un pianto liberatorio dopo tanto dolore".

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