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“Emigrato in Inghilterra in auto, torno in Italia per combattere il Covid”: la storia di Francesco Iorio

Francesco Iorio è un ricercatore italiano che per dieci anni ha lavorato in prestigiosi istituti di ricerca inglesi. Dopo una vita trascorsa all’estero, ha deciso di tornare in Italia per coordinare un team di ricerca sulla farmacogenomica. Con Human Technopole ha lavorato anche al riposizionamento di alcuni farmaci per combattere il Covid-19.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Francesco Iorio
Francesco Iorio

Francesco Iorio ha 42 anni ed è nato a Tortora, in provincia di Cosenza. Per anni ha lavorato al Wellcome Genome Campus di Cambridge. Quando parla della sua esperienza all'estero, lo fa con il sorriso: non si sente un cervello in fuga né un "cervello di ritorno" ora che è di nuovo in Italia. Semplicemente, secondo lui, quando lavori nell'ambito della ricerca, specialmente se sei un bioinformatico, un'esperienza fuori dal tuo Paese è quasi obbligatoria. Amplia gli orizzonti, cambia il tuo modo di lavorare e allarga sensibilmente la rete dei tuoi contatti. Certo, ammette, non si aspettava di stabilirsi a Cambridge per così tanto tempo. Ha sempre pensato di tornare nel suo Paese, eppure ha aspettato a lungo perché a un certo punto l'urgenza non pungeva più. Almeno fino allo scoppio dell'emergenza Covid. Il suo accento risente sensibilmente degli anni passati fuori dai confini nazionali, eppure, nonostante qualche piccola difficoltà linguistica, Francesco è tornato in pianta stabile a Milano per dirigere il suo team con Human Technopole, il nuovo istituto italiano di ricerca per le scienze della vita situato nel Milano Innovation District.

In cosa consiste il suo lavoro? 

Sono un bioinformatico, lavoro con i numeri che derivano da esperimenti di biologia molecolare. Tra i focus principali della mia ricerca c'è la farmaco-genomica. Con il mio team mi occupo di valutare la creazione di nuovi farmaci studiando la sequenza dei geni di in un individuo tramite metodi analitici. Un altro campo nel quale siamo impegnati è quello del riposizionamento dei farmaci, che in questo momento, in piena pandemia, è più che mai importante. La realizzazione di un nuovo farmaco è un processo lungo anni, mentre riuscire a riadattare un medicinale già esistente per un altro scopo è un po' più semplice in termini di tempo.

Lei non si ritiene un cervello in fuga, quindi.

No, assolutamente. Sono andato per aprire i miei orizzonti e ovviamente non mi aspettavo che il mio fosse un soggiorno lungo dieci anni. Quando ho pensato al mio paese non l'ho mai fatto con rabbia o con una nostalgia intrisa di tristezza. Un giorno ci sarei tornato, questo lo sapevo, ma solo a date condizioni, con un'offerta contrattuale che mi permettesse di lavorare come lavoravo a Cambridge.

Quando è tornato in Italia, il suo lavoro si è concentrato maggiormente sul Covid?

Ho sempre lavorato sul cancro e le malattie neurodegenerative, devo ammettere che per fronteggiare l'emergenza Coronavirus abbiamo iniziato a studiare metodi per il ricollocamento di qualche farmaco. Human Technopole e’ impegnato significativamente per combattere questa emergenza e alcuni nostri gruppi di ricerca sono maggiormente specializzati. Il mio team sta dando il suo contributo sotto la guida di altri nostri ricercatori con competenze più specifiche.

Perché tornare in Italia proprio adesso? 

Ci pensavo da un po', poi l'offerta di lavoro mi ha convinto a stabilire una collaborazione che avrebbe diviso il mio tempo tra Regno Unito e il nostro Paese. La pandemia poi ha dato una strana svolta alla mia vicenda: avrei voluto trovare casa prima dell'estate e traslocare definitivamente, vista la mia intenzione di rimanere qui. Invece, avendo la mia famiglia ancora nel Regno Unito, per evitare situazioni di spiacevoli lockdown in entrambe i paesi, mi sto spostando di hotel in hotel. Torno da mia moglie una settimana al mese e vorremmo continuare così per circa un anno.

Un anno di scali Italia- Inghilterra? 

Per i miei figli! Vorremmo che almeno la mia primogenita concluda la scuola primaria che ha già iniziato in Inghilterra. Dopo penseremo al trasferimento dell'intero nucleo familiare. L'abbiamo portata con noi a Cambridge quando aveva appena sei mesi e adesso, dopo dieci anni, la riportiamo in Italia. Questa volta però in aereo, non le toccherà farsi il viaggio in macchina come la prima volta.

Siete andati a Cambridge in auto?

Sì! Io e mia moglie ci eravamo appena sposati e avevo in mente di andare all'estero, così non abbiamo neppure preso casa. Abbiamo vissuto per un po' con i miei suoceri insieme alla nostre bambina. Mentre organizzavamo il viaggio, ho capito che portare i giocattoli e la culla in aereo era impossibile, così ci siamo messi in macchina e abbiamo fatto diverse tappe. Quando siamo arrivati a Cambridge ci hanno ospitato per tre settimane dei miei futuri colleghi che ancora non conoscevo. Quando abbiamo trovato un appartamento, per anni ho continuato a guidare la mia macchina italiana all'inglese.

Sua moglie voleva rimanere in Inghilterra?

Lei ha la doppia cittadinanza, perché incredibilmente sua madre è inglese. Ha conosciuto suo marito in vacanza a Capri negli anni 60. Mio suocero era un calciatore, ha giocato anche nelle giovanili dell'Inter. Si sono innamorati in vacanza e lei poi si è trasferita in Italia. Quando mia moglie ha fatto richiesta per la cittadinanza inglese, ha scoperto di averla già. Sente entrambe i luoghi come casa sua, anche se dieci anni sono tanti. La mia primogenita è italiana, è nata qui, mentre il mio secondo figlio è inglese perché è nato a Cambridge. Siamo una famiglia mista ed è vero che i miei figli probabilmente non sentono l'Italia come la sento io, ma vorrei che imparassero anche questo.

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