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Covid 19

Coronavirus, perché dobbiamo difendere la democrazia, oggi più che mai

Le privazioni che stiamo sperimentando in queste settimane di emergenza sono quelle di un regime totalitario. Sapremo riprenderci indietro tutto quanto, quando l’emergenza sarà finita? Saremo in grado di evitare che questa fase possa diventare la nostra nuova normalità? L’esito non è scontato. Ed è bene dircelo, prima che sia troppo tardi.
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Immaginate che solo un mese fa qualcuno, senza dirvi perché, vi avesse preannunciato che nel giro di trenta giorni, in Italia, sarebbe stata sospesa la libertà di movimento, contingentato l’ingresso nei supermercati, arrestato chi fosse in giro senza permesso, invocato l’esercito nelle strade e il coprifuoco, tracciato gli spostamenti delle persone e i loro contatti sociali attraverso i telefoni cellulari, sospeso elezioni e referendum, evocato un “uomo che comandi” in deroga all’ordinamento vigente, chiuso attività economiche, riconvertito coattivamente delle fabbriche, spogliato di ogni sovranità organismi (teoricamente) indipendenti come le banche centrali.

Siate onesti: probabilmente non avreste pensato a un’emergenza sanitaria, ma a un colpo di Stato. E no, anche se non c’è stato alcun colpo di Stato dobbiamo essere molto onesti nell’ammettere che le misure straordinarie adottate dal governo e dalle regioni italiane, così come quelle proposte per un futuro prossimo venturo con la democrazia liberale c’entrano poco o nulla. E assomigliano molto alle misure che un qualunque dittatore prenderebbe nel suo primo mese al potere.

Certo, obietterete voi, ma l’emergenza non ammette alcuna deroga. Se l’alternativa è veder morire decine di migliaia di persone, ben venga la quarantena forzata, i militari per strada, la fine di ogni privacy. Difficile, quasi impossibile, darvi torto: primum vivere deinde philosophari, dicevano i romani, quelli che in guerra si auto-imponevano un dittatore, per poi tornare alla repubblica.

Bene, ma fino a un certo punto: perché non siamo in guerra, né questa fase può essere rubricata a una parentesi momentanea, dopo la quale tutto tornerà come prima. Quella del Covid-19, al contrario, sarà probabilmente raccontata nei libri di storia come la prima pandemia globale, la cui caratteristica peculiare – l’ha spiegato benissimo Ilaria Capua, prima ancora che il paziente uno fosse ricoverato all’ospedale di Codogno – non è la virulenza, bensì la velocità del contagio.

Lo diciamo meglio: in un mondo interconnesso come quello in cui viviamo un virus è in grado di raggiungere in meno di due mesi tutti gli angoli del pianeta: l’influenza spagnola, cent’anni fa, ci mise più di un anno. Questa velocità è in grado di mandare in tilt anche la sanità migliore – o presunta tale – del mondo e di decimare la popolazione di una delle regioni più ricche del mondo. Il giorno in cui Covid-19 sarà domato – ammesso che riusciremo a domarlo prima di aver sperimentato ulteriori e più durature limitazioni della libertà – ce la faremo a tornare indietro? A tornare a uscire per strada? A rinunciare a farci tracciare, per il nostro bene, dalle autorità? A chiedere allo Stato di mollare il controllo sull’economia? A invocare l’indipendenza delle banche centrali dalla politica? A chiedere di ripristinare il trattato di Schengen e il patto di stabilità e crescita europeo?

Non sono domande retoriche, ma la cifra di quel che c’è in gioco – che abbiamo deliberatamente messo in gioco – in questi giorni: non solo la vita dei nostri cari, ma anche la sopravvivenza stessa del concetto di democrazia liberale in cui siamo nati e cresciuti. Quella stessa democrazia liberale occidentale che oggi appare vittima di un duplice e simultaneo attacco: quello degli autocrati come Vladimir Putin, che dalle colonne del Financial Times, ha recentemente definito “obsoleta”. E quello del nuovo “capitalismo della sorveglianza”, come lo chiama l’accademica americana Shoshanna Zuboff nel suo fondamentale e omonimo saggio che, come ha lucidamente osservato il filosofo israeliano Yuval Noah Harari in una recente intervista alla Cnn, potrebbe imporre un “sistema di monitoraggio continuo di un'intera popolazione per segnali biometrici (…) al fine di proteggere le persone da future epidemie”. “Una cosa – aggiunge Harari – che può anche costituire le basi per un regime totalitario estremo”.

Non sono domande che arrivano dal nulla: la questione tra sicurezza e libertà, tra privacy e sorveglianza, tra globalizzazione e democrazia erano già candelotti di dinamite piazzati sotto il nostro status quo. Covid 19, molto semplicemente, è il detonatore. La buona notizia è che possiamo ancora scegliere di difendere la nostra democrazia e le nostre libertà. Quella cattiva è che siamo nelle condizioni peggiori possibili per farlo.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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