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Opinioni

All’Italia serve un nuovo modello di credito

Per far ripartire l’economia italiana servono diversi fattori, ma uno sopra di tutto: il credito. Peccato che banche e assicurazioni siano quanto di meno concorrenziale esista in Italia. Speriamo emergano soluzioni alternative…
A cura di Luca Spoldi
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Quello di “sparare” sulle banche e assicurazioni, in Italia, è uno sport poco praticato dalla stampa economica (per non parlare di quella generalista), troppo sensibile a possibili “ripercussioni” sul fronte pubblicitario specie in tempi di magra come questi in cui persino un gruppo come i Benetton decide di non tirar fuori più neppure un euro accettando una forte diluizione pur di non partecipare all’aumento di capitale di Rcs MediaGroup, tante sono le incertezze che circondano il destino del settore in generale (e del gruppo milanese in particolare). Eppure sarebbe uno sport molto semplice da praticare, forse persino troppo, visto che anni di protezionismo, particolarismi, attenzioni su scala nazionale e locale, hanno finito col rendere il settore del credito e quello assicurativo due tra i meno concorrenziali in assoluto, pur in un paese come l’Italia che di concorrenza si riempie la bocca quando c’è da far convegni di studio ma poi pratica il meno possibile quando non è obbligata a farlo, magari da qualche direttiva europea.

Se è vero, e l’ho spiegato, che è inutile sperare che dalle banche possano giungere particolari aiuti alla ripresa a causa di pregressi problemi e squilibri (peraltro sorti non a caso ma a causa della mala gestione di molti se non tutti gli istituti e compagnie assicurative operanti nel “Belpaese” nei passati decenni), è anche vero, come ha avuto modo di dichiarare Standard & Poor’s, che solo lo scorso anno le banche hanno drenato 44 miliardi di euro di credito, che in parte le aziende italiane sono riuscite a riottenere andando direttamente sul mercato del debito con emissioni obbligazionarie (con cui sono stati raccolti circa 20 miliardi). Emissioni che secondo gli esperti americani prenderanno sempre più piede , una previsione certamente “di parte” visto che S&P’s con Moody’s e Fitch è una delle tre grandi agenzie di rating su strumenti di debito, ma tant’è.

Da tempo sostengo, tuttavia, che se non verranno varate riforme strutturali in grado di rinnovare profondamente l’economia italiana a partire da settori strategici come il credito o l’energia (ne vedete traccia voi nei discorsi dei nostri rappresentanti politici di tutti i colori? Io no) ed in attesa che la “moral suasion” di Banca d’Italia riesca a scalfire qualche ulteriore roccaforte del credito “che fu”, fatto di dipendenti e pensionati soci che condizionano le politiche di erogazione, di dirigenti nominati per “vicinanza” sindacale o politica, di tassi sui mutui artificiosamente mantenuti elevati anche ora che lo spread Btp-Bund si è dimezzato rispetto a un anno fa perché, povere banche, debbono pure rafforzare i propri coefficienti patrimoniali per evitare di fallire e di finirci sul groppone con una o più nazionalizzazioni, non posso che sperare in una graduale disintermediazione della funzione creditizia (e vorrei poter vedere accadere qualcosa di analogo anche nel settore assicurativo, visto la poca concorrenza di larghe fette del mercato come l’Rc Auto).

Qui sarebbero necessarie start-up e iniziative imprenditoriali in grado di offrire servizi a costi competitivi e qualcosa in realtà lo si inizia a vedere: iniziative di crowdsourcing per raccogliere fondi  attraverso l’utilizzo della rete, monete complementari in grado di limitare l’utilizzo del contante incentivando forme moderne di “baratto”, diffusione dell’utilizzo di monete virtuali (stando attenti a non esagerare in un uso speculativo delle stesse, come sta accadendo nel caso dei “Bitcoin”). Sono tutti fenomeni che non riguardano solo mercati avanzati come gli Stati Uniti o il Giappone ma sempre più spesso anche l’Italia e che si affiancano alla presenza ormai consolidata (anche se tuttora marginale) di operatori finanziari quali business angel, venture capitalist e fondi di private equity e private investment. La ripresa dell’economia italiana, in senso equitativo oltre che quantitativo, passa anche dalla volontà, privata e pubblica, di dare spazio a questi nuovi soggetti. Speriamo che vi sia e non prevalga ancora una volta la sola cieca difesa degli interessi e delle rendite consolidate, sarebbe l’ennesima occasione persa per tutto il paese.

P.S. Forse vi sembrerà poco attinente, ma sapete cosa sta minacciando il futuro dei laureati americani? Non tanto la mancanza di prospettive professionali, quanto un eccesso di debito contratto nel corso degli anni dagli studenti per mantenersi agli studi. Secondo l’agenzia Bloomberg si è ormai superato quota mille miliardi di dollari di debiti e facilmente una coppia di liberi professionisti freschi di studi può ritrovarsi sulle spalle mutui per 300-400 mila dollari complessivi da finire di pagare prima di pensare ad indebitarsi, eventualmente, per espandere la propria attività. Come dire che il problema non è solo nel soggetto che eroga il credito ma anche nell’utilizzo dello stesso e nella limitata concorrenza di altri settori chiave dell’economia, ma questa è un’altra storia.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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