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Opinioni

Al M5S serve davvero un leader?

Cosa sta succedendo in casa 5 Stelle, nel momento di massima espansione del consenso degli elettori e come (faticosamente) ci si sta preparando a contendere a Renzi (e forse anche a Salvini) la guida del Paese. A partire dalla questione del leader (e della classe dirigente).
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“Nel MoVimento 5 Stelle non ci sono leader, è un movimento "leaderless”. Il leader del M5S è il M5S stesso”. Con queste parole Gianroberto Casaleggio ha provato ad archiviare la discussione sulla leadership, che da tempo divide militanti e attivisti grillini. La linea del co-fondatore del M5S, condivisa da Grillo, è quella del “ritorno al passato”, ovvero della conferma senza cedimenti dell’ideologia del Movimento. Quella dell’uno vale uno, della “non necessità” delle individualità, della subordinazione del singolo alla leadership collettiva, che sostiene pensieri e proposte e surroga il pensiero individuale (che acquista un senso solo solo se condiviso, e in quel caso diventa patrimonio collettivo). È l’idea della politica come servizio a tempo, dell’impegno disinteressato e della assoluta interscambiabilità dei ruoli e delle funzioni, permessa dalla condivisione delle conoscenze, dall’intelligenza collettiva mediata dalla rete.

Quanto una prospettiva di questo tipo si sposi con le dinamiche politiche di questo tempo è tutto da capire. E quanto queste enunciazioni di principio siano rispettate nella realtà dei fatti (uno vale uno per modo di dire, infallibilità del verbo di Grillo, gestione familistica delle piattaforme, zero trasparenza nelle votazioni online eccetera) non è proprio chiarissimo. Ma tant'è, questo è il Movimento 5 Stelle della reggenza Grillo – Casaleggio, che piaccia o meno.

Leader(less)

Se è difficile che esistano gruppi sociali in cui non emergano leadership, è praticamente impossibile che esista un partito senza un leader. E che il M5S non sia affatto "leaderless" lo sanno tutti, ovviamente a partire da Casaleggio e Grillo. Che sono, appunto, i leader di fatto, tanto da potersi permettere di "allargare" la base decisionale ai 5 del direttorio. Eppure sono in molti a pensare che questo non sia l'unico modello possibile.

L'esempio è dato, ancora una volta, dal lavoro nei gruppi parlamentari. A partire dalla scelta, che funziona eccome, delle rotazioni nel ruolo di capogruppo che non ha pregiudicato affatto il lavoro ed è servita a responsabilizzare di più i singoli parlamentari. Per proseguire con le attività collegiali, le decisioni prese in modo assembleare e il rapporto paritario fra i parlamentari. Un meccanismo che (con le dovute pause ed eccezioni) funziona, salvo intrusioni dall'alto. Appunto.

Il problema risiede però nel fatto che il sistema politico, per come si è andato configurando negli ultimi anni, esige una leadership forte, riconoscibile, spendibile e legittimata dal supporto del gruppo dirigente. Una figura in grado di sovrapporsi al movimento politico, di sussumerlo, di rappresentarlo anche iconicamente. A maggior ragione ora che l'Italicum sembra aprire scenari considerati utopici, con il ballottaggio che rappresenta un'occasione incredibile, ma che al tempo stesso polarizza al massimo la scelta degli elettori e la vincola intorno ad un nome, più che un simbolo.

Al momento, però, sono davvero in pochi a scommettere in una fine prematura della legislatura e non c'è dunque, ripetono in molti, la necessità di aprire una discussione che si annuncia sanguinosa. Ma la strada va preparata, il terreno va arato. Per chi importa relativamente poco, anche se le idee sono sempre quelle, inutile girarci intorno: Di Maio, Di Battista, Fico, Lezzi, forse Morra.

Ma prima occorrono due passaggi: la completa emancipazione della classe dirigente del M5S e le modifiche al meccanismo di scelta delle candidature. Due aspetti molto più legati di quanto non si pensi e che includono un punto cruciale: la modifica del limite dei due mandati, magari anche con la possibilità di "interrompere il mandato per accettare candidature strategiche". Si tratterebbe di una modifica essenziale, proprio perché investirebbe i politici del M5S di una maggiore responsabilità, garantendo loro il tempo necessario per una completa maturazione politica e formando leader spendibili in competizioni elettorali (amministrative, regionali) sempre più "personalistiche".

Niente da fare, non è questo lo spirito del Movimento, ripetono gli integralisti. Eppure la mediazione è possibile: basterà che sulle candidature siano sempre i militanti a decidere. Insomma, eliminando solo i vincoli, ma lasciando che la parola ultima sia dei militanti.

Le divisioni (vere e presunte) nel MoVimento

La linea di Casaleggio sulle candidature è da tempo oggetto di discussione all'interno del MoVimento ed è stato chiaro quando, sulla scorta di qualche frase buttata lì da Beppe Grillo, si sono moltiplicate le voci su possibili modifiche al Non – Statuto e sulla imminente investitura di Luigi Di Maio quale leader "spendibile" alle prossime elezioni politiche. "Un modo per tastare il terreno", ci spiega un senatore grillino, "per capire quanti siamo a pensare che continuando così andiamo a sbattere e rischiamo di dilapidare il consenso". E le risposte? Quelle sono state chiare, ci conferma la nostra fonte: grande consenso intorno a Di Maio da parte della base (ma questo lo sapevamo già) e degli stessi parlamentari, ma anche molto scetticismo di militanti ed attivisti intorno alla proposta di eliminare il vincolo del doppio mandato, il divieto di passare da una carica all'altra e la possibilità di "rivedere le norme" su indennità e rimborsi. Come se non bastasse, gli interventi di Grillo sul blog e di Casaleggio sul Fatto hanno chiuso la questione.

E quindi? Quindi i frondisti hanno incassato il colpo e sono tornati nei ranghi, anche in considerazione degli ultimi sondaggi che evidenziano una crescita costante del consenso intorno al MoVimento. Aprire una crisi ora, anche se su un "nome" che gode del supporto dei militanti e dell'appoggio di Grillo, o su una linea facilmente attaccabile, avrebbe davvero poco senso.

Intendiamoci, le ricostruzioni che dipingono un gruppo spaccato e diviso su tutto, preda di gelosie, intrighi e ripicche hanno ben poco fondamento. Ma, oltre alle distanze personali (in molti non hanno digerito la blindatura del "direttorio" da parte del gruppo laziale – campano alla Camera, solo parzialmente controbilanciata dagli incarichi di gestione del sistema operativo), ci sono divisioni vere, politiche, che affondano le radici nelle contraddizioni della gestione del MoVimento, ma soprattutto della comunicazione. Istituzionale e "pubblica".

La comunicazione del M5S e il modello TzeTze

Quanto successo intorno alla responsabile comunicazione del M5S alla Camera Ilaria Loquenzi prima della pausa estiva è cosa nota, con l'intervento diretto di Casaleggio a sconfessare la sfiducia dei deputati e a confermarla alla guida della comunicazione. Così come è nota l'influenza sempre maggiore di Silvia Virgulti, al di là del gossip e delle simpatie / antipatie personali. Del resto, quello della comunicazione è settore chiave, al momento saldamente nelle mani del co-fondatore (è noto che Grillo sia molto refrattario ad intervenire personalmente in questo settore), che più volte si è scontrato con i singoli parlamentari, "rei" di impostare iniziative, campagne e rapporti con i media in maniera indipendente. Il problema è che la comunicazione istituzionale del M5S si incrocia, o meglio si sovrappone, a quella "aziendale" di Casaleggio.

E l'esempio lampante è la gestione della pagine ufficiali sui social network. Il M5S è un "brand", ormai, e come tale Casaleggio intende gestirlo (ne abbiamo scritto diffusamente qui). Massimizzando i profitti e puntando su una comunicazione secca, univoca, di tipo "pubblicitario", appunto.

In questo quadro è chiaro che i distinguo, le scelte nel merito, le diversità di posizione, ma anche il lavoro oscuro, la pratica parlamentare, hanno ben poca rilevanza e impatto. E ad essere valorizzato è il colpo di teatro, l'uscita fuori dalle righe, la provocazione, lo slogan, l'insulto efficace. È la propaganda politica al tempo dei social network, spiegano gli integralisti grillini con una scrollata di spalle. È il modello Tze Tze, si lamentano i malpancisti, attaccando sul click baiting, la monetizzazione, le bufale diffuse senza controllo anche su temi sensibili. E, se in gioco vi è la credibilità del M5S, l'attività social è uno dei peggiori biglietti da visita.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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