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Roma, autista aggredita sul bus: “Urlavano: ‘apri o ti ammazziamo’”

Elisa De Bianchi, 33 enne autista dell’Atac, sabato è stata aggredita da un gruppo di una trentina di immigrati, mentre guidava il suo bus. In un’intervista al Corsera ricorda i drammatici momenti: “Forse aspettavano da troppo tempo. Nessuno si è fermato, ho avuto paura di morire.
A cura di B. C.
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“Quei pazzi mi gridavano ‘apri o t’ammazziamo!’, gli automobilisti dall’altra parte della strada rallentavano per guardare la scena e poi andavano via. Dietro di me c’era la fila di macchine, ma nessuno è sceso per aiutarmi. Che schifo: la gente ci fotografa se parliamo al telefonino e manda le immagini ai giornali, ma quando succede una cosa del genere non alza un dito”. E’ un racconto pieno di amarezza quello che Elisa De Bianchi, giovane (33 anni) autista dell’Atac,  ha fatto al Corriere della Sera. La donna, sabato, nel corso del proprio turno di lavoro, alla guida dell’autobus della linea 042, è stata aggredita da un gruppo di una trentina di immigrati, sembra ospiti del centro di accoglienza di Corcolle. “Non so perché – racconta Elisa -, forse erano arrabbiati perché aspettavano l’autobus da troppo tempo. Quando ho rallentato per arrivare alla fermata il gruppo si è messo in mezzo alla strada. Quei tipi urlavano, tiravano calci sulla carrozzeria e sulle porte. Mi hanno gridato di tutto. Erano solo le sette e mezzo di sera, ma ho avuto paura. All’improvviso ho sentito un botto e il finestrino vicino al primo posto dietro di me è andato in frantumi: avevano tirato una bottiglia di birra come un proiettile. Meno male che il bus era vuoto, sennò ci scappava il morto. A quel punto ho accelerato e sono scappata”.

Ma la serata da incubo non era ancora terminata: “Ho chiamato l’ispettore per le emergenze – continua la donna nell’intervista al Corsera – mi ha detto di fermarmi al capolinea di Corcolle, a due chilometri da lì. Poi mi ha richiamato per dirmi di andare invece alla rimessa di zona: ma dopo il capolinea me li sono ritrovata di fronte, mi aspettavano, hanno bloccato di nuovo la strada, ma stavolta erano più cattivi”. In preda al panico Elisa telefona ad un collega che abitava nelle vicinanze: “Mi sono messa a piangere per la paura, gli ho chiesto di salvarmi. Quelli intanto spaccavano tutto, hanno finito di sfondare il finestrino. Ho pensato: ‘Se riescono a salire mi violentano e mi ammazzano’. Mi sono messa a suonare il clacson, ho fatto più rumore possibile, ma veramente assurdo è stato il totale menefreghismo dei passanti. Mi sono sentita davvero sola”. Probabilmente, però, quella telefonata deve averle salvato la vita, perché vedendola col cellullare, gli assalitori forse hanno pensato che stesse chiamando la polizia. “Quando ho visto che qualcuno di loro arretrava, ho rimesso la marcia e sono ripartita”.

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