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Preso il boss Giuseppe Aquino, scovato nel bunker sotto casa della madre (VIDEO)

Considerato l’esponente di spicco dell’omonima costa della ‘ndrangheta, era latitante da due anni e si nascondeva in un sottoscala a casa della madre, nella Locride. “Peppe u ‘pacciu” aveva anche sofisticate apparecchiature necessarie per sfuggire alla cattura.
A cura di Susanna Picone
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Considerato l’esponente di spicco dell’omonima costa della ‘ndrangheta, era latitante da due anni e si nascondeva in un sottoscala a casa della madre, nella Locride. “Peppe u ‘pacciu” aveva anche sofisticate apparecchiature necessarie per sfuggire alla cattura.

I carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Reggio Calabria, supportati dallo Squadrone eliportato Cacciatori di Calabria, hanno scovato e arrestato il latitante Giuseppe Aquino, meglio conosciuto come “Peppe u’ pacciu”. L’uomo, 50 anni di Marina di Gioiosa Jonica, era ricercato dal luglio del 2010, da quando si era sottratto all’arresto nell’ambito dell’operazione “Crimine” portata avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Aquino viene considerato un esponente di vertice della cosca omonima della ‘ndrangheta di Marina di Gioiosa Jonica: i carabinieri lo hanno catturato in un’abitazione del paese della Locride. Era nascosto all’interno di un bunker sotterraneo che era stato ricavato all’interno della casa della madre: una specie di caverna artificiale alla quale si accedeva attraverso una botola azionata da un congegno elettronico.

Dall’ingegnoso bunker continuava a gestire la sua attività – Si era nascosto in questo ingegnoso bunker, al buio della cantina nel sottoscala dell’abitazione della madre. Nello stesso posto i carabinieri hanno trovato anche diversi sofisticati apparati tecnici utilizzati dal latitante per sottrarsi all’arresto in questi ultimi anni. Il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, ha spiegato le fasi della cattura di “Peppe u ‘pacciu” nel corso di una conferenza stampa: si è trattata di un’indagine classica, fatta di pedinamenti, monitoraggi ambientali e intercettazioni telefoniche. Secondo quanto spiegato da Gratteri, dal suo nascondiglio-bunker il boss della ‘ndrangheta si sentiva al sicuro e “poteva ancora proseguire la sua attività di coordinatore delle attività illecite del suo clan, decapitato dopo la cattura del fratello Rocco”.

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