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Luigi Pirandello: vecchi e giovani sullo sfondo di un’Italia immutabile

Le vicende dell’Unità italiana descritte attraverso lo sguardo critico e beffardo di uno fra i massimi scrittori europei del Novecento: il siciliano Luigi Pirandello.
A cura di Cristian Basile
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post-pirandello

L'Italia si appresta a celebrare il centocinquantesimo anniversario della sua Unità. Dal 1861 si sono susseguite almeno 4 generazioni, lentamente siamo diventati un solo popolo, parliamo la stessa lingua, abbiamo affrontato 2 guerre mondiali, immani catatrofi, abbiamo resistito al fascismo fino all'avvento della Repubblica. Ma quanto è davvero cambiata l'Italia? Proprio durante i festeggiamenti dei 150 anni dell'unità d'Italia, onde evitare che le celebrazioni diventino soltanto un vano sventolio di bandierine tricolori è interessante rivisitare la storia del nostro Paese. Quanto è cambiata la nostra nazione in un secolo e mezzo? Tantissimo per molti aspetti, ma dal lontano 1861 molti problemi sono rimasti gli stessi, la questione meridionale resta una ferita aperta ed il mito del Risorgimento è stato messo in discussione.

Di sicuro un ruolo fondamentale nella nascita dell'identità nazionale italiana lo ha avuto la letteratura ed a fare un'interessante analisi sugli anni del risorgimento e dell'unità d'Italia è stato uno dei rappresentati più illustri ed apprezzati della nostra letteratura: Luigi Pirandello, uno dei massimi drammaturghi e scrittori italiani, uno dei pochi scrittori italiani contemporanei conosciuto in tutto il mondo sia per il premio Nobel vinto nel 1934 sia per il numero di compagnie di tutto il mondo che ne mettono in scena i suoi drammi che, dopo quelli di Shakespeare, sono i più rappresentati. Pirandello è inoltre con tutta probabilità l'autore che meglio rappresenta il periodo dall' unità d'Italia all'avvento del fascismo, uno dei pochissimi ad avere coscienza del "tradimento" degli ideali risorgimentali ed ad analizzare i profondi cambiamenti in atto nella società italiana. Anche Pirandello infatti si è occupato dell'Unità d'Italia, ritraendo la crisi dell'Italia postunitaria e il crollo delle speranze e dei valori risorgimentali in un'ottica del tutto particolare, coerente con l'immagine fortemente critica della realtà che cercava di interpretare.

Luigi Pirandello nasce a Girgenti (oggi Agrigento) nel 1867, da una famiglia borghese. Nel 1891 si laurea all'Università di Bonn. Tornato in Italia, nel 1893 si stabilisce a Roma dove inizia a collaborare a riviste letterarie, insegna all'Istituto superiore di Magistero, prima stilistica, poi letteratura italiana. Comincia a pubblicare poesie, saggi, romanzi e novelle (che, a principiar dal 1909, apparivano sul "Corriere della Sera"), per poi affermarsi come autore drammatico nei due lustri seguenti al primo conflitto mondiale. Se "Liolà", "La giara", "Il berretto a sonagli", "Pensaci, Giacomino!", "Così è (se vi pare)", "Il piacere dell'onestà" sono i lavori più significativi del periodo 1915-20, è nel 1921 – anno della prima, sfortunata rappresentazione dei "Sei personaggi in cerca d'autore" – che la fama del Nostro varca i confini nazionali, con il consenso unanime di pubblico e critica. Da ricordare, ancora, i drammi "Vestire gli ignudi" (1923) e "L'amica delle mogli" (1927), dedicati a Marta Abba. Accademico d'Italia dal 1929, nel '34 è insignito del premio Nobel per la letteratura. Muore a Roma nel 1936, mentre sta lavorando a "I giganti della montagna". I tratti salienti dell'arte di Pirandello si presentano sin dalle sue prime prove narrative: se già nel romanzo breve "Il turno" (1895) il gusto dell'autore siciliano pel grottesco corrosivo risulta infatti evidente, ne "L'esclusa" (1901) – storia di una donna cacciata di casa dal marito per un'ingiusta accusa di adulterio e riammessavi proprio quando adultera è diventata – si precisa una visione dell'uomo prigioniero delle convenzioni e smarrito nel dedalo di una verità proteiforme. Tali concetti trovano definitiva sistemazione ne "Il fu Mattia Pascal"(1904) – dove un individuo ritenuto morto cerca invano di crearsi un'identità nuova, finendo per perdere anche l'originaria – e vengono integrati dalle riflessioni contenute nel saggio "L'umorismo" (1908), incentrato sui problemi della creazione artistica. Quindi "I vecchi e i giovani" (1906) giudicato forse con troppa approssimazione un ritorno ai canoni del verismo, nel confronto tra illusioni risorgimentali e scorciatoie cercate dalle nuove generazioni, in "Suo marito" (1911) e "Si gira" (1915) si fa più pessimistico il suo sguardo sull'umanità, ingabbiata nella finzione ed impossibilitata a decrittare il reale. Uguali tematiche si riscontrano nelle sue novelle, raccolte nel 1922 sotto il titolo "Novelle per un anno", e nel suo ultimo romanzo "Uno, nessuno e centomila"(1926).

Nel suo romanzo più lungo, "I vecchi e i giovani", Pirandello, dopo i massacri delle masse rurali durante i moti dei "Fasci" del 1893 esprime il suo disprezzo per la corruzione e la meschinità seguite alle grandi speranze e alle generose lotte risorgimentali, contrapponendo due generazioni, quella dei vecchi che non solo non ha saputo trasformare in realtà il progetto risorgimentale di rinnovamento politico, economico e morale dell'Italia ma che anzi ha lasciato ai propri figli un’Italia corrotta e disunita; quella dei giovani, senza prospettive per il futuro, bramosa di cambiamenti, ma superficiale e incapace di trovare soluzioni. Un romanzo attualisimo quasi cent'anni dopo ed alcuni problemi dell'Italia descritti dal Pirandello, sembrano gli stessi di oggi: l'arrivismo, la pochezza della politica, la corruzione, l'assolutà incapacità di governo delle classi dirigenti, le mafie, l'affarismo, il potere economico che condiziona quello politico, i parassiti che vivono sulle spalle di chi lavora. Come dice un personaggio di Pirandello nel romanzo: "Mangia il Governo, mangia la Provincia; mangia il Comune e il capo e il sottocapo e il direttore e l'ingegnere e il sorvegliante… Che può avanzare per chi sta sotto terra e sotto di tutti e deve portar tutti sulle spalle e resta schiacciato?…".

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