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La nuova vita di Monica Seles: “Ora so cos’è la felicità”

Il 30 aprile 1993 Monica Seles viene accoltellata ad Amburgo da un tifoso di Steffi Graf. Inizia una lunga lotta contro la depressione e la bulimia, ha raccontato la sua storia in un libro. Oggi organizza campus di tennis e si occupa di programmi per l’educazione alimentare con l’associazione Laureus.
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Getting a grip. Mantenere la presa, riprendere il controllo. È il titolo dell'autobiografia di Monica Seles. È il racconto di una vita in due tempi: prima i trionfi della bambina prodigio, la campionessa che si fa strada a suon di urli e di fondamentali bimani, poi i problemi di peso, la bulimia, la depressione, la difficile ricerca di un nuovo equilibrio. Due tempi separati di netto da un taglio, dal coltello di Gunther Parche, tifoso ossessionato da Steffi Graf, che affonda tra le scapole dell'incredula Monica in un pomeriggio di sole ad Amburgo, il 30 aprile del 1993.

IDENTITÀ COMPLESSA – A Novi Sad, Monica inizia a giocare a sei anni con papà Karolj, che ha dovuto interrompere la sua carriera sportiva nell'atletica, e il fratello Zoltan. Karolj disegna il volto del topolino Jerry sulle palline da tennis (Monica sarebbe stata il gatto Tom che cercava di acciuffarle con la racchetta) e improvvisa un campo stendendo una corda tra due auto nel parcheggio dietro casa.

QUATTRO ANNI DI DOMINIO – Già da allora, accompagna ogni colpo con le urla che segneranno tutta la sua carriera. Nel 1989 vince il suo primo torneo WTA, a Houston, in finale su Chris Evert. Pochi mesi dopo arriva in finale al Roland Garros, battuta da Steffi Graf. Il mondo è affascinato dai suoi colpi, entrambi a due mani e dalle incredibili accelerazioni che è in grado di imprimere. Monica non ha mai pensato a se stessa come a una giocatrice fino al 1990, quando firma una delle più grandi sorprese nella storia del tennis: trionfa al Roland Garros e si prende la rivincita in finale su Fraulein Forehand. Dal 1990 al 1993, Monica Seles conquista otto titoli dello Slam e domina il circuito. Tra il gennaio 1991 e il febbraio 1993 gioca 34 tornei: arriva in finale 33 volte, vincendone 22, con uno score di 152 successi su 164 partite giocate e un bilancio inarrivabile di 55-1 nei major. “Fino ad allora ero al centro del mondo. Frequentavo gente famosa, firmavo autografi ai fan, incontravo gente interessante, mangiavo nei ristoranti migliori, dormivo negli hotel più lussuosi e mi guadagnavo un modo di vivere fenomenale, giocando a uno sport che amavo con tutto il cuore” ha raccontato. “La vita non poteva essere più bella. Giocare a tennis era la cosa più divertente che potessi fare, ed ero brava a farlo. Poi il mio mondo si sgretolò improvvisamente”.

L'AGGRESSIONESono le cinque del pomeriggio del 30 aprile 1993. Monica Seles sta agevolmente battendo Magdalena Maleeva 61 43 nei quarti di finale alla Rothenbaum arena di Amburgo. È la numero 1 del mondo dal 9 settembre 1991, il giorno in cui Gunther Parche, disoccupato di 38 anni con l'ossessione per Steffi Graf, entra in una spirale depressiva tanto da accarezzare l'idea del suicidio. Parche è sugli spalti ad Amburgo. Estrae dalla borsa verde un coltello con lama da 16 centimetri, si sporge oltre la ringhiera e lo pianta nella schiena di Monica Seles. “Non l' ho colpita con tutta le mia forza, non volevo ucciderla, ma solo ferirla. Non sarebbe mai più stata in classifica davanti alla mia Steffi”. Seles si era appena chinata in avanti per bere un sorso d'acqua. "E’ strano” scrive, “ come le cose più insignificanti possano avere un tale impatto sulla tua vita. I medici mi hanno detto più tardi che, se non mi avessi protesa in avanti proprio in quel momento, avrei rischiato seriamente la paralisi”.

RIPRENDERE IL CONTROLLO – Monica Seles non tornerà più numero 1 del mondo. Al rientro, la WTA le garantisce l'inedito ranking di “n.1 bis” per i primi sei tornei che gioca. Nel 1994 prende la nazionalità Usa, con cui vince tre Fed Cup e il bronzo olimpico ad Atlanta. Vincerà ancora 20 titoli WTA e gli Australian Open del 1996. Gioca la sua ultima partita al Roland Garros 2003, anche se ufficializzerà il ritiro solo cinque anni dopo. Sono anni duri, anni di depressione e di tanti, troppi chili in più. La bulimia è una ricerca di protezione: "Se mi imbottisco con qualche chilo extra, mi proteggerò dall’essere ferita di nuovo". Nello stesso tempo, papà Karolj si ammala di cancro. “Lui non poteva mangiare, e io mangiavo praticamente per 10. Pensi che tuo padre sia a prova di bomba, ma quando scopri che non è così è davvero dura. La combinazione della sua malattia e dei miei problemi di peso mi ha fatto entrare in una pesante depressione. Ho preso molti chili e ricevevo commenti molto feroci”. A Wimbledon, nel 1996, quando perde al secondo turno da Katarina Studenikova, i giornali scrivono che Monica somiglia a una lottatrice di sumo. Nel ’98 papà Karolj muore lasciando un ulteriore profondo vuoto da riempire con il cibo, poi è la volta dell’infortunio e nel 2003 Monica gioca l’ultima partita da professionista della propria carriera. Decide di ritirarsi dopo una vacanza in un resort eco-sostenibile in Costa Rica. “Il ritiro era nell'aria, ma non volevo ammetterlo. Stare in un ambiente positivo mi ha aiutato a mettere a posto un po' di pezzi della mia vita. Ero stanca di avere degli obiettivi, avevo passato tutta la vita cercando di raggiungere un obiettivo: arriva a quel peso, vinci quel torneo. Ero stanca delle persone che mi dicevano cosa fare. Se mi sentivo giù per un paio di giorni andavo fuori a passeggiare. Camminare è stata la migliore terapia per me: chilometro dopo chilometro mi si apriva la mente. Finalmente avevo del tempo per me senza un particolare scopo”.

L'AUTOBIOGRAFIA – Così decide di raccontare la sua storia. “Avevo partecipato a un programma Tv, Ballando con le stelle, e l'attenzione della gente era tutta concentrata sul peso che avevo perso, non interessava a nessuno che sapessi o meno ballare. Lì ho capito che la mia esperienza avrebbe potuto essere utile ad altre ragazze”. A 30 anni Monica riprende il controllo di se stessa, della sua mente e del suo corpo. “Non lo facevo per il tennis, per sembrare come una delle giocatrici col fisico da modelle o per avere un contratto in più, non lo facevo per entrare in un abito da sposa. Per la prima volta nella vita, volevo farlo solo per me, dovevo cancellare tutto questo dalla testa e dirmi: lo faccio solo per Monica. Mi ha aiutato molto, ora sono molto fiera di aver trovato uno stile di vita in cui non mi privo di nulla”. Dopo l'uscita del libro, tante donne le hanno scritto per ringraziarla: grazie alla sua storia avevano trovato il coraggio di affrontare il problema. Oggi Monica, che sta vendendo la sua casa al Laurel Oak Country Club, viene spesso coinvolta in incontri pubblici su disturbi alimentari, organizza campus, clinics e tornei di tennis per ragazzi, e fa parte dell'associazione Laureus, cui si dedica a titolo gratuito, che avvia allo sport bambini che vivono in realtà disagiate e ogni anno assegna l'omonimo premio agli sportivi che si sono distinti in stagione. Sempre nell’ambito della Laureus World Sport Academy, ha partecipato al programma “I Challenge Myself” che prende in considerazione l’educazione motoria ed alimentare dei giovani a rischio di obesità. Si è dedicata anche alla narrativa, pubblicando una raccolta di racconti a tema e ambientazione tennistici, The Academy. La protagonista è Maya, che sogna di diventare una tennista professionista, che si trova catapultata nella realtà sociale dell’accademia, dove scopre il retrogusto amaro dell’amore e dovrà destreggiarsi per non lasciarsi sfuggire le opportunità che la vita le mette davanti. È una sorta di diario romanzato della sua infanzia e della sua carriera, scandite dalla competizione. “Nel caos della mia vita professionale, non ho mai avuto abbastanza tempo per stare sola, per ascoltare me stessa” scrive in Getting a Grip. “Ho cominciato a farlo ed è stato come provare a conoscere qualcuno che hai sempre visto ma che non hai mai fatto entrare nella tua vita. Ho iniziato a fare cose che prima non avrei nemmeno immaginato: buttarmi col paracadute, passeggiare per Parigi, organizzare le mie foto che mio padre aveva collezionato in 20 anni. Mi sono concessa di piangere per la sua morte. E più aumentava la qualità dei miei giorni, più il mio stomaco smetteva di sentirsi vuoto. Ora so cosa vuol dire essere felice”.

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