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“Hanno deciso loro sul mio corpo”: quant’è difficile abortire con la Ru486 in Italia

La testimonianza di Silvia, che quest’estate ha provato ad accedere all’aborto farmacologico a Roma. Rimandata di ospedale in ospedale e trattata con freddezza, alla fine ha dovuto fare l’intervento. “Nei servizi pubblici sono sembrati tutti più preoccupati del mio grado di consapevolezza che dai miei bisogni effettivi”, racconta.
A cura di Claudia Torrisi
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A nurse shows the RU486 pill at the family plannin

"Ad oggi sono ancora un bel po' arrabbiata per quanto successo. Si sono sentiti tutti liberi di decidere sul mio corpo come se niente fosse". Il 15 giugno di quest'anno, Silvia (il nome è di fantasia) scopre di essere rimasta incinta. Non è il momento, però, di diventare madre e decide di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza. "Per mille motivi", anche se "in questo racconto non sono importanti le ragioni per cui l'ho fatto: mi importa che si sappia come i servizi di Roma mi hanno offerto la possibilità o meno di far valere i miei diritti. Volevo accedere all'aborto farmacologico ma, a mio avviso con obiezioni celate, me l'hanno vietato e costretta all'aborto chirurgico contro la mia volontà palesata più volte", spiega. L'interruzione di gravidanza con metodo farmacologico si fa con la Ru486, una pillola arrivata in Italia nel 2009, in seguito all'autorizzazione dell'Agenzia italiana per il farmaco alla messa in commercio nelle strutture ospedaliere – nel pieno rispetto della legge 194 del 1978. Nonostante questo, l'accesso al servizio è tutt'altro che facile.

Il tour degli ospedali per avere la Ru486

La mattina stessa del 15 giugno Silvia si rivolge all'associazione Vita di Donna e parla con la ginecologa Lisa Canitano, da tempo impegnata ad aiutare le donne in difficoltà. La dottoressa le dice di recarsi il lunedì successivo all'ambulatorio Ivg dell'ospedale Grassi di Ostia, dove lavora. "Ero molto preoccupata e nervosa – racconta Silvia – non riuscivo a mangiare più di una volta al giorno, dormivo pochissimo e mi svegliavo in preda agli incubi, vomitavo e avevo qualche linea di febbre. Una condizione che è andata solo peggiorando durante tutto il percorso".

Il 20 giugno va all'ospedale Grassi di Ostia. "Senza troppe domande e con una fredda accoglienza, mi viene fatta un'ecografia pelvica che segna come epoca gestazionale 6+5. L’operatore che l'ha eseguita, non curandosi della mia presenza, ha guardato la dottoressa in servizio dicendole ‘Non fa in tempo per il farmacologico, bisogna operarla'. Ma io mi ero informata, sapevo che il diritto all'accesso all'aborto farmacologico con la Ru486 c'è fino alla settima settimana e mi sono opposta", racconta. La ginecologa propone a Silvia di pensarci e di tornare poco dopo se ritiene di voler procedere chirurgicamente a Ostia.

Il pomeriggio va al Consultorio per procurarsi la certificazione di legge necessaria per procedere all'Ivg. La accolgono due persone, di cui una pensa sia un'assistente sociale. "Mi hanno fatto un interrogatorio su come potessi essere rimasta incinta. Poi una delle due mi ha detto che non c'era possibilità di aiutarmi nell'immediato: avrebbero potuto farmi il colloquio per la certificazione di legge dopo una settimana e prenotarmi l’appuntamento all’ospedale San Giovanni per il 5 o l'8 luglio per fare direttamente la procedura per il chirurgico", ricorda Silvia, che anche in quel caso ha chiesto perché non potesse accedere all'aborto farmacologico: "Per tutta risposta mi hanno consegnato un volantino informativo dell'ospedale San Camillo".

Le viene dato l'appuntamento per la certificazione il 27 giugno. Quel giorno avrebbe dovuto portare anche un'ecografia perché finora aveva fatto solo il test della farmacia. "L'assistente sociale – racconta – mi ha guardata e mi ha detto: ‘Lei dice che è incinta ma noi che ne sappiamo? Esca di qua, si vada a fare un'ecografia da un privato visto che non c'è tempo'. Poi mi ha detto di fare le analisi del sangue e di tornare l'indomani".

Silvia a quel punto chiede consiglio in segreteria al consultorio e le suggeriscono di provare a contattare la Clinica Guarnieri, convenzionata con il SSN: lì, però, le rispondono che l'unico medico non obiettore è oberato di lavoro e che c'è una lunga lista d'attesa. Alla fine si rivolge nuovamente all'associazione Vita di Donna, la dottoressa Canitano le fa avere la certificazione e le suggerisce di fare un nuovo tentativo e recarsi l'indomani al San Camillo. Deve andare al mattino molto presto, perché nel repartino per le Ivg dell'ospedale prendono solo le prime dieci donne che si presentano. "Il giorno dopo mi sono svegliata alle 4 e 30 del mattino, sono salita sui mezzi pubblici e sono arrivata al San Camillo", racconta Silvia. Giunta all'alba al sottoscala dove si trova il reparto Ivg, si mette in coda: è la settima.

Intorno alle 8 del mattino la chiamano dentro la stanza. Compilata la sua cartella clinica, però, l'infermiera le chiede un recapito e le dice che sarebbe dovuta tornare l'indomani. "Ho protestato – spiega – fatto notare che sul sito c'è scritto che prendevano le prime dieci. L'infermiera mi ha risposto che avevano cinque appuntamenti dal consultorio, quindi le esterne le avevano ridotte a cinque e non sarebbero riusciti a smaltirci tutte. Ho chiesto la certezza di avere la Ru486 almeno l'indomani, mi è stato detto: ‘Tu vieni, facciamo la visita e vediamo'".

Il giorno dopo Silvia torna al San Camillo. Le fanno l'ecografia e risulta ancora in tempo per la pillola. Ma anche stavolta le dicono che le verrà fatto l'intervento. "Sono diventata ingestibile: mi stavano negando un diritto. Non penso che la pillola renda tutto più leggero, ma la ritengo meno invasiva. Nel resto d’Europa danno la Ru486 fino alla 9° settimana", racconta. Le infermiere spiegano a Silvia che hanno pochi posti letto per la somministrazione della Ru486 e quindi possono farlo solo due volte a settimana. La ragazza chiama l'ospedale Pertini, spiegando che ha appena fatto l’ecografia al San Camillo e che vorrebbe la pillola Ru486, chiedendo se fosse possibile prenderla da loro. "Mi viene risposto che loro somministrano la pillola solo il lunedì per cui non sarei rientrata nei tempi. Idem al San Filippo Neri, solo il lunedì e il mercoledì". Al Policlinico Umberto I, invece, "la somministrano il martedì ed il giovedì; al Grassi il lunedì; il Policlinico Casilino fa solo l'aborto chirurgico". Al San Giovanni, infine, la lista d'attesa è troppo lunga. "A quel punto erano finiti gli ospedali a cui potermi rivolgere", ricorda.

Il 22 giugno Silvia rientra nel reparto Ivg del San Camillo. "Ho detto a un'infermiera di essere disperata perché volevo la Ru486 e mi ha risposto che è una battaglia che stanno facendo con la dirigenza e avrei potuto scrivere all’Ufficio relazioni con il pubblico dell’ospedale dicendo che non avevo potuto usufruirne perché non ci sono abbastanza posti letto. Ma io questo tempo non ce l'avevo", racconta.

"Hai paura? E allora perché vuoi abortire?"

I primi di luglio Silvia torna ancora una volta al San Camillo, dove ha un appuntamento con l'anestesista. "Era molto di fretta – racconta – io cercavo di fargli tutte le domande, gli ho detto di avere paura della sala operatoria perché non avevo mai fatto alcun intervento chirurgico. Lui mi ha solo risposto: ‘E allora perché ha deciso di fare l’Ivg se ha paura? Io non posso farci niente". L'11 luglio, infine, c'è stato l'intervento. Di quel giorno Silvia ricorda che le sono state date poche informazioni e fatta qualche battuta in sala operatoria sulla mancata contraccezione. Come dire: se fosse stata attenta, avrebbe potuto evitare tutto questo.

"Nei servizi pubblici sono sembrati tutti più preoccupati del mio grado di consapevolezza che dei miei bisogni effettivi", ricorda Silvia. "Io ho sempre chiesto i miei diritti – aggiunge – senza sentirmi in colpa. Il fatto è che la mia rabbia per quello che non riuscivo a ottenere veniva vista sempre male, come qualcosa di non rilevante se paragonata al fatto che avevo chiesto di abortire".

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