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Diego Fusaro: “Vi spiego perché Eco è destinato a rimanere immortale”

“Eco si è guadagnata una doppia immortalità: è un’immortalità all’indietro, perché nessuno meglio di lui ha conosciuto ed esplorato la letteratura mondiale ed è anche un’immortalità in avanti, poiché i suoi stessi romanzi sono destinati a rimanere in futuro come patrimonio della letteratura mondiale”.
A cura di Diego Fusaro
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eco
Umberto Eco e Diego Fusaro, un ricordo del Novembre 2011 a Milano.

Ebbi la fortuna di conoscere di persona Umberto Eco nel novembre del 2011, in occasione della presentazione di un libro di Marco Trainito a lui dedicato: "Umberto Eco. Odissea nella biblioteca di Babele" (Il Prato, Padova 2011). A presentare il libro in questione, presso l’associazione culturale “Il Punto Rosso” di Milano, eravamo appunto io ed Eco, oltre all’autore, Marco Trainito. Il locale era gremito, con una fortissima presenza di giovani.

Debbo dire che anche in quell’occasione rimasi piacevolmente stupito dalla cultura immensa di Eco, che spaziava in ogni campo, dalla filosofia all’arte, dalla letteratura alla storia. La grande stima che, dal punto di vista culturale, provavo per Eco, tuttavia, non mi impedì di muovere alcune critiche alla sua impostazione, che liberamente ebbi modo di esprimere nel corso della discussione, senza troppo curarmi della grandezza intellettuale del gigante cui sedevo accanto. Mi affascinava molto, debbo ammetterlo, la sua figura, anche in relazione al fatto che egli proveniva dalle stesse zone da cui provengo io, quella zona del Piemonte che già declina verso la Liguria, e ciò ci permise, tra l’altro, di scambiare rapide battute – dopo la discussione pubblica – sulle nostre comuni terre d’origine (Alessandria lui, Acqui Terme io). Eco, inoltre, si era a suo tempo laureato presso la stessa Università in cui mi laureai io, l’Università di Torino, sotto la guida di Pareyson, insieme con Gianni Vattimo, di cui sempre fu uno dei più cari amici. Varie volte, con Vattimo, di cui ho avuto l’onore di essere allievo e che continuo a frequentare come amico e maestro, ci eravamo trovati a ripercorrere quel periodo: Vattimo mi raccontava con affetto di Eco, delle loro avventure giovanili, di quando insieme convivevano a Milano lavorando presso la RAI.

Con Eco se ne va un gigante della letteratura, una mente finissima, un vero e proprio “uomo di cultura” in senso pieno quali non se ne trovano più nel tempo dell’odierno idiotismo specialistico e della “taylorizzazione del lavoro intellettuale” di gramsciana memoria. Ricordo che con Eco, a partire dal testo a lui dedicato, ci trovammo a discutere di filosofia medievale e di relativismo. Mi permisi di fargli notare, con rispetto e non di meno in modo fermo, il fatto che in quel capolavoro della letteratura mondiale che è “Il nome della rosa” mi pare vi fosse troppo “pensiero debole” e poco pensiero cristiano medievale. In fondo, notavo, i protagonisti del “Nome della rosa” sembrano dividersi o in educati seguaci relativisti del postmoderno camuffati con la tunica medievale o in burberi reazionari fanatici che credono fino alla morte nel Dio cristiano. Ne discutemmo apertamente, probabilmente senza convincerci a vicenda delle rispettive ragioni.

Di Eco non potevo non condividere le battaglie per la cultura e per la letteratura, né potevo non ammirare la sua erudizione più unica che rara, l’ingegno vivissimo e sempre pronto anche alla battuta. Non condividevo però – e sarebbe ipocrita negarlo – la sua prospettiva laicista, giacché consideravo e considero il laicismo una forma di laicità radicalizzata in forma patologica. Significativa mi pare, a questo riguardo, la tenzone che Eco ingaggiò contro papa Ratzinger sul giornale tedesco “Berliner Zeitung” il 19/9/2011, arrivando testualmente a liquidare come “molto grossolane” le battaglie del papa contro il relativismo e a definire Ratzinger stesso come non grande né come filosofo, né come teologo. Credo che, forse, in questa “ybris” laicista e relativista stesse uno dei punti deboli di Eco, che lo spingeva a vedere in Ratzinger non un competentissimo teologo e filosofo con cui dialogare – come fece, ad esempio, Habermas –, ma una sorta di integralista privo di interesse. Non condividevo neppure, ad essere sincero, la prospettiva politica di Eco, ascrivibile, in fondo, in quella sinistra anti-berlusconiana attenta più al legalismo che alla sofferenza dei lavoratori, alla questione morale più che a quella sociale e ai drammi del capitalismo globale. Ma questa è un’altra storia; una storia che, comunque, per quel che mi riguarda, nulla toglie alla grandezza dell’Umberto Eco letterato e romanziere.

Se dovessi indicare i suoi lavori più belli, mi permetterei di segnalare, oltre al “Nome della Rosa”, lo splendido saggio giovanile sull’estetica di Tommaso d’Aquino, un vero e proprio capolavoro a cavaliere tra storia della filosofia ed estetica. Se, invece, dovessi indicare una delle più belle e suggestive considerazioni di Eco, segnalerei, tra le tante, questa:

chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, […] perché la lettura è un’immortalità all’indietro.

Ebbene, in questo senso credo che l’immortalità che Eco si è guadagnato possa con diritto dirsi duplice: è un’immortalità all’indietro, perché nessuno meglio di lui ha conosciuto ed esplorato la letteratura mondiale; ed è anche un’immortalità in avanti, poiché i suoi stessi romanzi sono – non v’è dubbio – destinati a rimanere in futuro come patrimonio della letteratura mondiale.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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