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25 aprile, non si è liberi finché non si è uguali

«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»: la Resistenza, oggi, dovrebbe partire da qui.
A cura di Giulio Cavalli
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Ci sarebbe da deciderne uno per ogni 25 aprile, almeno per provare a esercitare memoria oltre che commemorarla: perché questo Paese sia liberato per davvero c'è almeno un ostacolo all'anno che meriterebbe tutto lo sforzo, l'energia collettiva e l'impegno. E se ci fosse da pensare alla rimozione di un ostacolo, oggi, forse quell'ostacolo sarebbe la diseguaglianza; perché non c'è piena liberazione e democrazia laddove i cittadini non abbiano tutti le stesse possibilità, le stesse occasioni e la strada spianata per una piena realizzazione. Ecco, se mi si chiedesse per cosa combattere questo 25 aprile scrivere per l'uguaglianza. Davvero.

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»: basta scorrere all'articolo 3 della nostra Costituzione per comprendere quanto sia di difficile applicazione la democrazia pensata quel 25 aprile del 1945.

La dignità sociale, oggi, è legata ai successi personali e alle appartenenze: siamo sempre quell'Italia in cui il "chi ti manda" conta più del "che sai fare"; siamo il Paese in cui una donna guadagna meno perché donna, un meridionale ha meno possibilità perché nato troppo a sud, e più a sud di loro sono coloro che annegano per superare l'ostacolo di essere nati dalla parte sbagliata del mondo; siamo un Paese che non incarcera i colletti bianchi e infierisce sui ladruncoli; siamo il Paese che è chirurgicamente riuscito nell'impresa di disaffezionare i cittadini alla politica, violando il valore della partecipazione; siamo il Paese in cui la realizzazione personale passa sempre più spesso dall'affiliazione ad un gruppo di potere, dove la meritocrazie si compie nell'essere amico della persona giusta al momento giusto.

Non c'è democrazia finché non esistono pari opportunità. O meglio: non è mai democrazia piena quel sistema che non ha sviluppato l'etica per scorgere le fragilità e farsene carico. "I diritti civili – diceva Pier Paolo Pasolini – sono quasi sempre i diritti degli altri" e non è un caso che oggi la miopia che non scorge "gli altri" sia considerata la benzina necessaria per uno sviluppo di slancio. Chi non è "al passo" è un peso, un ostacolo da aggirare: un gufo.

«La resistenza richiede grandi sacrifici: il che spiega anche perché la maggior parte delle persone scelga la costrizione.» scriveva Ernst Jünger, e la costrizione diventa dolce se ci illude di mantenere lo "status quo". La rimozione degli ostacoli per la piena realizzazione dell'uguaglianza richiede la capacità di rimettersi continuamente in discussione. Non è comoda la strada che porta alla ricerca dell'uguaglianza: non ammette soste, non sopporta i dolenti e non tollera i conservatori.

Viene da pensare che ci fossero davvero partigiani ancora intenti a partigianare partirebbero proprio dall'articolo 3 della Costituzione: "rimuovere gli ostacoli" oggi significa avere il tempo, l'intelligenza e il cuore di scovare "l'alieno" e abitarlo senza renderlo "straniero". Ci vuole coraggio, certo, a considerare le nostre comodità il (brutto) risultato del nostro smettere d'essere curiosi. E sarebbe bello praticarlo, il 25 aprile, piuttosto che commemorarlo. Sarebbe almeno un primo passo in più.

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