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Volkswagen: quanto vale dopo lo scandalo emissioni?

Volkswagen in sole due sedute ha briciato 27 miliardi di euro di capitalizzazione a fronte del rischio di una multa da 18 miliardi di dollari. Quanto vale realmente il gruppo tedesco e cosa rischia ancora?
A cura di Luca Spoldi
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Volkwagen il giorno dopo: quanto resta del valore, economico e reputazionale, del principale produttore tedesco (secondo solo a Toyota a livello di vendite mondiali) il giorno dopo l’ammissione di colpa e l’annuncio che nel terzo trimestre dell’anno verranno accantonati 6,5 miliardi di euro per iniziare a coprire, almeno in parte (il management del gruppo ha già chiarito che potranno essere fatti ulteriori accantonamenti nei prossimi trimestri in base all’evolvere delle indagini), i probabili oneri legati alla vicenda, oneri che in realtà potrebbero arrivare a sfiorare i 18 miliardi di euro, ossia i 16 miliardi di euro, solo negli Stati Uniti, ma che potrebbero crescere e di molto se altri paesi (dopo Usa e Germania anche Francia, Italia e Corea hanno avviato indagini per capire se i loro test anti inquinamento fossero stati “truccati” dal gruppo)?

Lo stesso numero uno del gruppo, Martin Winterkorn, allarga le braccia e ammette: “A questo punto, non ho risposte per tutte le domande”. Il mercato però un’idea sembra essersela fatta: dopo una seconda pesantissima giornata di borsa che ha visto il titolo, già crollato ieri di quasi 20 punti, cederne poco meno oggi (-19,8%, con un ultimo prezzo a 106 euro per azione), la capitalizzazione si è ridotta a 50,43 miliardi di euro, vale a dire il 35% meno di venerdì sera quando il titolo aveva chiuso a 162,4 euro per azione e la capitalizzazione era ancora superiore ai 77,26 miliardi. Quasi 27 miliardi di capitalizzazione persi in sole due sedute, a fronte del rischio di una multa massima di 16 miliardi di euro (per ora) stanno a indicare solo una cosa: che il mercato valuta, tra il danno reputazionale e il rischio di ulteriori multe in giro per il mondo, che il conto per Volkswagen possa salire di altri 8-9 miliardi.

E’ credibile tale stima, visto che per il momento lo scandalo del software che “tarava” le prestazioni dei motori diesel riducendone le emissioni quando venivano effettuati dei controlli sembra riguardare solo le vetture a marchio Audi e Volkswagen che montavano una singola versione del motore, quella da 2000 cc? Probabilmente no, per eccesso. Eppure rischi non mancano: accanto all’inchiesta dell’Epa (l’ente per la protezione ambientale statunitense, che potrebbe arrivare a imporre fino a 37.500 dollari di multa per ciascuna delle 482 mila vetture equipaggiate con tale motore vendute negli Usa dal 2009 al 2015) è già stata avviata una seconda indagine penale da parte del ministero della Giustizia, che potrebbe portare ad un’incriminazione sia per il gruppo sia per i suoi singoli top manager.

Visto che pochi giorni fa General Motors ha chiuso una vertenza analoga pagando 900 milioni di dollari di multa per evitare di arrivare a un processo e la giapponese Toyota ha a sua volta pagato 1,2 miliardi per evitare a sua volta strascichi giudiziari, è probabile che il gruppo tedesco possa dover pagare una cifra attorno al miliardo per evitare di veder spiccati mandati d’arresto per i suoi manager (e per evitare di dover uscire forzatamente dal mercato americano). Accanto all’azione penale è poi da mettere in conto una serie di azioni civili di risarcimento danni, che potrebbero trasformarsi in una class action. Anche in questo caso è difficile indicare una cifra esatta, ma le prime ipotesi parlano di un assegno tra i 3 e i 4 miliardi di dollari che potrebbe dover essere staccato, anche a rate, da Volksawgen per rabbonire i suoi clienti statunitensi.

C’è poi un dettaglio da non sottovalutare: mentre gli Stati Uniti pesano relativamente poco in termini di vendite (884 mila vetture vendute lo scorso anno, contro i 3,894 milioni distribuiti in Europa) se non di fatturato (27,62 miliardi di euro contro i 122,86 del vecchio continente), l’Asia e la Cina in particolare sono sempre più “pesanti”: lo scorso anno le vendite hanno toccato quota 4,02 milioni, il fatturato ha superato i 38,11 miliardi. E se in Europa Volkswagen può contare sul sostegno (subito scattato) del “sistema Germania” per cercare di limitare i danni, in Asia il rischio di perdere quote di mercato è concreto, tanto più che il tema della lotta all’inquinamento ambientale è stato posto al centro già dell’attuale piano di sviluppo quinquennale e non c’è dubbio che lo sarà anche del prossimo.

A pensar male si fa peccato, ma l’occasione potrebbe essere ghiotta anche per i produttori cinesi (e indiani), oltre che giapponesi quanto meno per far scattare campagne promozionali “comparative” che sottolineino il passo falso della rivale e ne intacchino l’immagine di affidabilità e integrità, anche morale, presso la clientela. Forse tutto questo non vale altri 4 o 5 miliardi di euro di danni potenziali per Volkswagen e dunque probabilmente a 106 euro per azione Volkswagen è sottovalutata.

Ma a questo punto da potenziale cacciatore il produttore tedesco rischia di trasformarsi in preda e, probabilmente, di veder incrinati i rapporti con la controllante Porsche (prima azionista con una partecipazione del 31,5%) e con gli investitori stranieri presenti nel capitale (un 26,3% è in mano ai grandi fondi d’investimento, un 15,4% al fondo sovrano del Qatar). Per ora parlare di “cavaliere bianco” è certamente eccessivo, ma se il vento non cambierà rapidamente Winterkorn potrebbe perdere altro oltre che le risposte a tutte le sue domande.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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